Una rivisitazione dell’ontologia dimensionale di Viktor Emil Frankl riferita al rapporto duale

Per esporre i concetti fondamentali dell’ontologia dimensionale di V.E.Frankl, mi avvalgo delle sue parole:

«L’identico essere è, per così dire, uno e trino»
intendendo dire con “uno” che: «La personalità è un in-dividuum, non divisibile, perché è una unità.»; con il concetto di “trino”, Frankl intende dire che l’uomo è corpo (biochimico), è psiche

(mente) ed è spirito (Nous).
Prima di procedere tengo a precisare che, dato che i sostantivi rappresentano sostanze, è

bene evitare di pensare che l’espressione “spirito” sia da considerare come un sostantivo ma, piuttosto, nel suo significato più profondo di essenza, di modo d’essere della singola persona. «Mentre è in-sommabile, essendo una totalità […] esistono un’unità antropologica ed una totalità antropologica […] nonostante le differenze ontologiche […]. Solo se si parla di dimensioni vengono garantite sia l’unità che la totalità dell’uomo» (Frankl, 1979 p.12-13).

Frankl formula una sistematica «antropologia dimensionale» nei termini di un teorema e dei relativi postulati che hanno la caratteristica di essere applicabili all’uomo.

Già relativamente alle dimensioni corpo e mente, sappiamo che è impossibile eliminare il gap esistente tra loro in quanto sono incommensurabili.

Nonostante ciò, non dobbiamo deplorare il fatto che gli scienziati studino, eseguano esperimenti e li dimostrino, ma che generalizzino questi esiti come se l’uomo fosse monodimensionale o, al massimo, bidimensionale (come, per esempio, sostiene la medicina psicosomatica), è un dato di fatto che andrebbe rivisto alla luce degli studi e degli approfondimenti della corrente umanistico-esistenziale.

A dispetto della rigidità creata, nel tempo, da una epistemologia naturalistica dogmatica, la complessità dell’essere umano appare irriducibile ad ognuna delle rispettive prospettive che le varie discipline possono dimostrare.

La prima legge dell’ontologia dimensionale

La prima legge sostiene che: «un solo ed identico fenomeno proiettato al di fuori delle sue dimensioni, in altre dimensioni inferiori alle sue, dà origine a figure diverse in netto contrasto fra loro» (Frankl, 1994, p.38). Ad esempio da un bicchiere cilindrico proiettato nel piano laterale e in quello di base si otterrà nel primo un rettangolo e nel secondo un cerchio; è interessante notare che queste figure si contraddicono fra loro in quanto si tratta di figure piane e chiuse mentre il bicchiere non è una figura piana ed è un recipiente aperto.

Applichiamo questo discorso all’uomo

Se priviamo l’uomo della dimensione specificamente umana e lo proiettiamo nel piano della biologia e della psicologia, sembra che appaia in due diverse immagini reciprocamente contrastanti. La proiezione nel piano biologico mette in luce soltanto fenomeni somatici, mentre la proiezione nel piano psicologico rileva esclusivamente fenomeni psichici. Nella prospettiva dell’ontologia dimensionale questa opposizione non nuoce all’unità dell’uomo, nello stesso modo il contrasto tra il rettangolo e il cerchio non contraddice il fatto che si tratti di due proiezioni dello stesso oggetto, cioè il bicchiere cilindrico.

L’unità dell’uomo, la sua unicità, non può trovarsi nella dimensione biologica o psicologica ma deve essere cercata nella dimensione noetica che vede l’uomo come essere tridimensionale (la dimensione fisica, quella psichica e quella spirituale).

L’uomo, proiettato in una dimensione inferiore, appare come un sistema chiuso di riflessi fisiologici e proiettato nel piano psicologico è rappresentato da un sistema chiuso di reazioni psicologiche.

E’ importante chiarire che quando si parla di dimensione superiore opposta alle dimensioni inferiori non si intende mai dare un giudizio di valore ma sottolineare l’importanza di una dimensione superiore come maggiormente comprensiva proprio come aveva tenuto a precisare il compianto Paul Tillich in occasione di un dibattito pubblico alla Facoltà di Teologia di Harward subito dopo la presentazione che Frankl fece sull’ontologia dimensionale.

Trattare l’uomo come un sistema chiuso che si attenga al principio dell’omeostasi significa misconoscergli il fatto che la sua essenza è aperta, come è stato evidenziato da Max Scheler (filosofo), Arnold Gelehn (sociologo) e Adolf Portamm (biologo) i quali, in particolar modo gli ultimi due, ci hanno dimostrato che l’uomo è aperto al mondo e poiché l’essenza dell’esistenza umana la si coglie nella possibilità dell’autotrascendimento, essere uomo significa essere sempre proteso verso qualcosa o verso qualcuno, cosa che scompare nelle dimensioni psicologica e biologica considerate a se stanti.

Frankl definisce questa possibilità umana con il termine di «forza di resistenza dello Spirito» e intravede, in essa, la caratteristica tipica dell’uomo.
La «forza di resistenza dello Spirito» non è un impulso o un bisogno né un istinto quindi non è una forza spontanea ma è da considerare come una possibilità noetica caratterizzata dalla libertà intenzionale, cioè scelta, voluta dall’individuo.

Quindi è una possibilità non una necessità.
La possibilità noetica è da riferirsi alla dimensione spirituale nell’uomo che non deve essere

identificata con un’istanza di tipo soprannaturale né con una nozione di tipo teologico; infatti Frankl coniando i neologismi “noetico e noodinamico” li preferisce al concetto spirituale proprio per non generare confusione nelle persone che si avvicinano alla Logoterapia.
Per comprendere come avviene il “moto della possibilità” che affranca l’uomo dalla schiavitù della necessità per renderlo libero da e libero di e per, dobbiamo riflettere sul concetto di coscienza.

La fenomenologia, con E. Husserl, reagisce alla interpretazione psicologica della coscienza intesa come entità, facoltà o cosa, ed afferma che la coscienza è un atto caratterizzato dalla sua intenzionalità diretta alle cose. Negata come cosa e ribadita come atto, la coscienza non è un campo interiore in cui si raccolgono le percezioni che provengono dall’esterno ma è un originario ‘fuori di sé’ o, come dice M. Merleau-Ponty, una trascendenza: «la coscienza è da capo a fondo trascendenza, non trascendenza subita – perché una simile trascendenza sarebbe il ristagno della coscienza – ma trascendenza attiva. […] E’ il movimento profondo di trascendenza che è il mio essere stesso, il contatto simultaneo con il mio essere e con l’essere del mondo» (M. Merleau-Ponty, 1945, p.485-486).

Il “teorema dell’intenzionalità della coscienza”, che Husserl aveva ripreso da F. Brentano (v. Atto, § 1) contro l’impostazione naturalistica della psicologia, è ripercorso da Jaspers per il quale: «L’essere della coscienza non è come quello delle cose ma la sua essenza è nell’essere diretto intenzionalmente agli oggetti. Questo fenomeno originario, tanto evidente quando sorprendente, è stato chiamato intenzionalità.» (Jaspers, 1933 p, 118). La coscienza non è solo diretta all’oggetto, ma riflette anche su di sé ponendosi come autocoscienza a proposito della quale Jaspers scrive: «L’“Io penso” e “L’Io penso che penso” coincidono in modo da non poter esistere l’uno senza l’altro. Ciò che dal punto di vista logico sembra assurdo, qui è reale, e precisamente: l’uno non è come uno, ma come due; con ciò non diventa due, ma resta uno in una modalità unica» (Jaspers 1933, p. 119).

Per cogliere la presenza, E. Husserl dice che occorre un’epoché ossia una sospensione del giudizio con cui siamo soliti considerare ciò che abbiamo davanti. Mettendo tra parentesi ogni impianto categoriale giungiamo all’esperienza originaria della presenza. M.Heidegger distingue tra l’epoché delle cose che sono lì semplicemente davanti e perciò alla mano e quindi utilizzabili e la

presenza dell’uomo che non è al mondo come lo sono le cose, ma apre un mondo percorso dalla sua intenzionalità: il Dasein «non ha e non può avere il modo di essere proprio di ciò che è semplicemente presente dentro il mondo» (Heidegger 1927, p. 108).

Individuato nell’apertura originaria all’essere, o presenza, il tratto specifico dell’uomo, si comprende come, per Heidegger una psicologia che parta dalla considerazione della natura degli enti (dimensione ontica), e non dall’originaria apertura all’essere (dimensione ontologica), fallisca il suo scopo «antropologico», perché non considera che l’uomo non è una cosa del mondo, ma colui per il quale si dischiude un mondo.

Partendo da queste premesse, L. Binswanger afferma che una psicologia che voglia essere fedele al suo oggetto non deve applicare all’uomo le categorie scientifiche che si applicano alle cose del mondo, ma deve partire dall’uomo e considerare le modalità esistenziali con cui si dischiude al mondo, cioè il modo con cui la presenza (Dasein) si spazializza, si temporalizza, si mondanizza, coesiste.

La coscienza è tridimensionale come l’individuo.

L’essere umano è un Corpo che possiede un cervello (coscienza somatica) preposto alla regolazione degli equilibri di vari sistemi vitali quali il sistema neurovegetativo, il sistema neuroendocrino e quello immunitario i quali cercano di mantenere omeostaticamente in comunicazione ogni organo, apparato e tessuto del corpo umano. Il cervello è una componente importante della vita dell’uomo ma è solo una parte anche se non dobbiamo considerarla parte a se stante. E’ inevitabile, però, considerarla “proiettabile” proprio perché ha una sua oggettività empirica, tangibile e analizzabile scientificamente.

L’essere umano è anche Psiche e possiede la coscienza come organo di consapevolezza (coscienza psichica), di fatticità, di coscienza di sé oltreché di capacità di decidere, di ragionare, di scegliere, di relazionarsi, di vivere scientemente: è capace di elaborare il Significato della vita. Possiede delle categorie di pensiero che permettono l’elaborazione del significato delle cose che ci accadono e le soluzioni per affrontarle.

L’essere umano è Spirito e possiede una coscienza come organo di significato (coscienza noetica) che rappresenta un allargamento della coscienza che include l’Oltre ed è in grado di cogliere il Senso della vita. Permette all’uomo di percepire il proprio modo d’essere irraggiungibile dagli altri: la propria vita spirituale oltreché la propria esistenza progettuale. Questa coscienza non possiede delle categorie ma la “forza di resistenza dello Spirito” che le offre la possibilità di dare sempre un senso pieno alle cose della vita trovando nei valori oggettivi e personali la forza giusta per nutrirsi.

Il proprio modo d’essere è qualcosa che va al di là della mente e del corpo. E’ quel nostro percepirci irragiungibili dagli altri: nessuno ci capisce completamente; spesso ciò che diciamo viene frainteso e il disagio ci sconforta fino a farci ritirare in noi stessi delusi e incompresi… «mi sento improvvisamente estraneo come quando ho creduto di parlare con qualcuno e girandomi mi sono accorto che ero solo. Conosco questa sofferenza. E’ la solitudine esistenziale. Mi sta attaccata come un’ombra.» (P. Giordano 1998, p.22,)

Ma il proprio modo d’essere è anche la sensazione di essere persone irripetibili, uniche e originali quindi insostituibili: siamo sostituibili solo per le cose che si possono attuare meccanicamente, quelle, per intenderci, che svolgiamo in una catena di montaggio, ma per tutte le altre cose non siamo sostituibili perché ciò che facciamo è sempre e solo grazie al nostro modo d’essere che vive in un mondo di possibilità.

Il ponte esistente tra le dimensioni del corpo e della mente si può identificare nel Nous, nello Spirito e nella sua “coscienza come organo di significato” la quale si appella alla “libertà della volontà” come dinamica antinichilistica del «nient’altro che». Noi non siamo nient’altro che un

corpo o nient’altro che una psiche o nient’altro che uno spirito! Noi siamo tutt’altro che ciò che può venir ipotizzato!

La dimensione psichica della volizione fa assumere all’uomo una posizione libera da rigorismi e dogmatismi di stampo positivista ma liberi di scegliere un nuovo orientamento per “sé” e, in una relazione, per “l’altro da sé”.

La dimensione spirituale o noetica, secondo Frankl, è una dimensione costitutiva dell’essere umano (come quella biologica e psicologica) ed è precisamente la natura noetica che fa dell’individuo una persona, dotando un determinato organismo psicosomatico di un’essenza unica, irripetibile e incondizionata.

In un certo senso l’uomo “rimane un animale” ma può andare oltre questa proprietà manifestando la sua umanità nell’atto di emergere nella dimensione noetica cioè trascendendo se stesso.

Dove avviene questa emersione?
La prima possibilità di emersione della dimensione spirituale è data dall’esistenzialità: «ex-

sistere» significa innanzitutto uscire da se stessi, porsi di fronte a se stessi per offrirsi la possibilità di autotrascendersi rispetto alla dimensione biologica e a quella psicologica: l’esistenza ex-siste, quindi sta sempre al di là della propria fatticità: effettualità ed esistenzialità si esigono reciprocamente quindi la separazione netta tra la dimensione spirituale e quella psicofisica può essere solo di carattere euristico (inerente la metodologia filosofica e scientifica) in quanto lo spirituale non è una sostanza in senso tradizionale ma rappresenta un’entità ontologica (l’essere in quanto tale).

Anche M. Heidegger supera la distinzione tra interiorità ed esteriorità con la nozione di Esserci (Dasein), che designa la condizione dell’uomo che è originariamente nel mondo, e afferma che «Nel comprendere, l’Esserci non va al di là di una sua sfera interiore in cui sarebbe da prima incapsulato; l’Esserci, in virtù del suo modo fondamentale di essere, è già sempre “fuori”, presso l’Ente che incontra in un mondo già sempre scoperto» (Heidegger M. 1927, p.133).

Differenza tra il concetto di persona e il concetto di coppia

La singola persona che compone una coppia, possiede un suo mondo di valori non falsificabili tranne che da lei stessa, mentre la coppia è un concetto astratto che non possiede alcunché. La coppia è concreta nella sua visibilità ma non può possedere alcun valore, né alcuno scopo. Se il concetto di coppia, di Noi, viene considerato come somma di due unicità, si rischia di ipostatizzare cioè di trasformare arbitrariamente un concetto astratto in una sostanza vera e propria.

Se consideriamo la psiche e il Nous delle due persone, il concetto di coppia o del Noi non ha in sé un Logos, non è una sostanza ma è l’esito di due unicità distinte e in-divisibili che formano e danno vita ad una coppia: nella misura in cui le due persone “si” decidono, operano cioè azioni scelte nei confronti reciproci, trasferiscono alcune possibilità nella realtà (potentia in actus) per diventare e arricchire il proprio modo d’essere (actus in habitus) che è sempre e solo dell’individuo, delle due persone.

La coppia cambia solo quando le due persone decidono di renderla diversa: fintantoché una delle due persone (o entrambe) non decide di migliorare l’andamento della relazione o di modificare una situazione statica, non cambia nulla nelle due persone e il concetto di coppia resta tale soltanto nella sua visibilità.

Farsi guidare senza badare più al proprio senso di orientamento è ciò che succede quando ci si abbandona al concetto di coppia deresponsabilizzandosi. E’ naturale vivere anche il piacere di farsi guidare, ma quando questo diventa uno stile di vita, si perde la propria consapevolezza di essere in grado di orientarsi e di scegliere.

Se invece, nella coppia, rimane sempre viva la consapevolezza di possedere la propria unicità quindi la propria autoefficacia, si è in grado di “fare per essere” – fare cioè qualcosa di

concreto per sentirsi vivi all’interno della coppia – e ci si assume la responsabilità di essere autonomi e liberi in coppia.

All’inizio ci si deve sforzare di “fare per essere” poi, nel corso del tempo e con la ripetizione, “si è per fare”, si è per autotrascendersi cioè “si diventa” come si è voluto diventare e ciò che si fa per l’altro diviene naturale. Naturale e piacevole.

Purtroppo succede molto spesso che di fronte a delle scelte importanti ci si abbandoni all’altra persona pensando che sia lei a dover risolvere i problemi, dai più piccoli ai più importanti. Se quest’insieme di problemi superati da entrambi non fondano una base sicura su cui tutte e due le persone possono camminare ma anche…cadere, si entra in crisi.

La coppia avrà un senso profondo nella misura in cui sarà costituita da “un Io e da un Tu che vivono in una coppia”. Confondere un Io e un Tu, cioè due persone originali e uniche, con una coppia, significa interpretare una realtà che non esiste e se una delle due persone si rintana pigramente nella coppia, rischia davvero di smarrirsi, di perdere la propria identità ma, soprattutto, quelle potenzialità che potrebbero rimanere inespresse in lei.

La sintonia tra due persone non dipende, come spesso si crede, dall’essere uguali ma dall’essere complementari nella diversità: la curiosità e lo stupore di scoprire l’altro che apporta alla coppia sempre nuovi elementi d’interesse, mantiene elevato l’“incanto della convivenza” perché l’attrattiva è sempre protesa verso la scoperta di qualcosa di nuovo che offra continua linfa al rapporto. Se si crede di essere uguali, all’inizio ci si sente protetti perché si è assieme ad una persona che non minaccia di contrastare le certezze acquisite ma, alla lunga, cala l’interesse perché manca il fascino dell’attesa, della novità, della particolarità dell’altra persona e il naturale disinteresse per la scontatezza della comunicazione crea l’indifferenza e l’inizio della fine: il disamore!

Ecco perché è importante, molto importante, mantenere quello spazio ontologico di e in coppia che permetta il rispetto vitale di due identità ben definite e autonome: ogni persona della coppia necessita di proprie scelte, propri spazi e propri tempi per realizzare le cose desiderate, pur nel rispetto del Tu.
«Io faccio quello che voglio e tu fai quello che vuoi» è una frase utilizzata spesso dalle persone che pensano che sia questa la libertà da rispettare. In realtà è un messaggio che, già verbalmente, dà la chiara e netta sensazione di un taglio, di una divisione! Non è questo il vero modo per esistere mentalmente nella coppia: manca lo spazio della condivisione. «Io faccio ciò che voglio e tu fai ciò che vuoi» può funzionare in un rapporto di amicizia in quanto i due amici possono anche non stare assieme e vivere le proprie esperienze senza privare l’amicizia di elementi importanti. Sarà proprio quel tempo non condiviso a dare nuova linfa al rapporto d’amicizia. Nel rapporto in coppia non è possibile sopravvivere se entrambi fanno ciò che vogliono senza mai condividere alcunché. Ciò che vale per le coppie in cui si sta troppo tempo insieme, vale per le coppie in cui si sta troppo tempo separati.

Il rapporto duale: Io Tu
La dimensione ontologica in e di coppia

Considerando sia l’esistenza spirituale dell’uomo – cioè la sua dimensione noetica – sia la sua fatticità psicofisica – cioè la proprietà di ciò che esiste di fatto -, credo nell’importanza anche di una “dimensione ontologica in e di coppia”

Queste dimensioni non sono fenomeniche, non sono concrete, sono come il Nous che non si può proiettare su un piano oggettivo; sono dimensioni sovraindividuali ma anche interindividuali (tra i due Nous); sono sovraordinate, trascendenti le due unicità.

Se mancano queste dimensioni, come nel caso di coppie in cui esiste una dipendenza, o una simbiosi o una rassegnazione passiva, non esiste la vita in coppia!

Creare un rapporto duale autentico e ricco, significa facilitare responsabilmente un rapporto dialettico tra la dimensione ontologica di e in coppia e, tra loro due e la realtà nella quale sono inserite.

Spazio e Tempo inseriti nella “dimensione ontologica in e di coppia”

La “dimensione ontologica in coppia” (“in”inteso come complemento di stato in luogo con valore di “fra uno e l’altro”) indica relazione, dualità, reciprocità fra due persone, intimità che deve mantenere una sua sacralità mai a rischio di sconfinamento esterno. Quando una persona, all’insaputa dell’altra, confida ad un amico ciò che appartiene allo spazio ontologico in coppia, credendo di ricevere un aiuto, mina gli equilibri in quanto inserisce qualcosa di estraneo, qualcosa che non appartiene alle due persone ma ad una terza.

D’altro canto se questa dimensione non viene controbilanciata da una “possibilità altra”, si rischia di trasformarla in una dimensione ontica, come una monade a se stante che causa un’attività inevitabilmente centripeta che rallenta sempre più il suo moto (a causa della privazione del rapporto delle due persone con il mondo esterno) fino ad implodere in un dato momento e in un dato luogo e a bloccare le due persone, le quali, annichilite e private della loro originalità e della loro libertà di scelta responsabile, abbandonano il loro luogo e spazio illusori e… si separano.

Nel caso in cui i due Nous (l’essenza o il modo di essere) si condizionino troppo e uno dei due rimanga bloccato nell’altro si crea, inevitabilmente, un comportamento di falsità, di finzione, di inautenticità, di disagio noetico che genera una sofferenza e, alla lunga, questo Pathos, nasconde un Logos inespresso.

E’ la dimensione spirituale, quella del Nous, a doversi sentire libera di esprimersi nel singolo. Stare in coppia con il proprio modo d’essere significa percepirsi come persona che si sente veramente a suo agio per come è, non per ciò che ha.

Avere, in questo contesto, non significa tanto possedere le cose (danaro, oggetti, potere, posizione sociale), quanto l’avere un certo carattere, una certa personalità, come quando si dice: “hai un bel carattere”. Sentirsi a proprio agio per come si è significa percepirsi nella propria spontaneità libera, senza mai sentirsi in obbligo di fingere di possedere caratteristiche non proprie.

Anche la sovrapposizione psichica in coppia è molto pericolosa! Ciò accade alle coppie infatuate – quelle che ancora non si amano – le quali rischiano di costruire involontariamente e inconsapevolmente solo un mondo psichico (scelte fatte all’insegna della ragione, tempo e spazio trascorsi sempre insieme, interessi identici) che soffochi le ragioni del cuore di pascaliana memoria con-fondendo le due unicità, illudendo entrambe le persone che le frasi: «ci ameremo per tutta la vita» (tempo) e
«faremo sempre tutto insieme» (tempo-spazio), siano garanzie di solidità e di eternità. E’ proprio questa illusione a deresponsabilizzare le due persone e ad abbreviare la loro vita in coppia!

Da fuori e dopo (spazio-tempo) ci si rende conto che non può esistere solo la “dimensione ontologica in coppia” ma è importante che quella “possibilità altra” si attualizzi come una “dimensione ontologica di coppia” (“di” inteso come complemento di unione tra le due persone e il mondo esterno).

La maturità psiconoetica delle due persone, facilita la creazione anche di una dimensione ontologica di coppia in cui le due dimensioni dell’essere psiconoetico si trascendono e condividono con il mondo esterno tutto ciò che può uscire dalla dualità, salvaguardando da occhi e da orecchi indiscreti, quei mondi psiconoetici che devono restare nella dimensione ontologica in coppia.

Come a dire che ciò che è esistente in coppia non deve necessariamente essere condiviso con l’esterno, proprio per mantenere dei “confini protettivi l’intimità” all’infuori dei quali nulla dovrebbe uscire. Più le due persone in coppia sono orgogliosamente gelose di proteggere una certa

parte di intimità psichica (quindi emotiva, sentimentale e relazionale) e di intimità noetica (cioè del Senso valoriale e spirituale) più riescono a godere del rapporto con l’esterno. Tutto ciò che, nella coppia, ha un carattere meramente condivisibile, è funzionale e sano che venga vissuto senza timore. L’esistere nel mondo rimanendo in coppia, può essere paragonato alla vita di un bambino che sente di poter tornare sempre dalla propria madre dalla quale non verrà mai tradito.

Entrambe le dimensioni non possono che essere dinamiche altrimenti costituirebbero, in loro e per loro, enti a se stanti.

Queste due dimensioni ontologiche (di e in coppia) devono rimanere spazi percepiti e vissuti da entrambe le persone al fine di evitare la stasi in coppia o la morte noetica (quando le due essenze o modi d’essere non riescono più a comunicare).

Dentro queste dimensioni si può vivere l’attesa, la speranza, la delusione, la meraviglia, il fare, lo scambio, il silenzio, la relazione e tutto ciò che le due persone in coppia creano.

Una coppia che coltivi soltanto la dimensione ontologica in coppia, rischia di implodere, mentre quella che coltiva soltanto la dimensione ontologica di coppia rischia di esplodere. E’ importante, quindi, che le due dimensioni si integrino in modo costante al fine di rispettare sia l’intimità in coppia (l’esistentività) sia la sua relazione con l’esterno (l’esistenzialità).

IlCounseling Filosofico-Esistenziale

“Essere stato è la forma più sicura di essere” V.E.Frankl

Il Counseling filosofico-esistenziale è un approccio non terapeutico che mira a facilitare – nelle persone che vivono un disagio esistenziale ed esistentivo – la consapevolezza del Senso della vita o meglio del Senso dei disagi e del Senso delle soluzioni che la persona inizia ad ipotizzare, magari per la prima volta, al fine di uscire dai blocchi del suo pensiero coartato. Il Senso del disagio e il Senso delle soluzioni (che passano attraverso le dinamiche della possibilità, della responsabilità e della libertà di), vengono elaborati filosoficamente dal Counselor e dal Consultante grazie ad una ricerca continua che miri alla saggezza.

Due persone che vivano la loro prima esperienza significativa in coppia e decidano che la loro vita è talmente bella da poter eliminare qualsiasi distrazione che possa togliere tempo e spazio al loro stare insieme, non si rendono conto di creare una dimensione ontologica in coppia che è sì importante ma altrettanto pericolosa perché non viene controbilanciata dalla dimensione ontologica di coppia. L’Io ritiene fondamentale concentrarsi nella vita del Tu e preferisce eliminare le frequentazioni dei suoi amici storici e annullare le sue attività creative e/o sportive. Il Tu, dal canto suo, fa la stessa cosa nei confronti delle amicizie e delle sue attività precedenti. Entrambi si frequentano quotidianamente chiudendosi a riccio e credendo di essere gli unici depositari del vero ed eterno amore!

Il loro spazio-tempo ontologico in coppia diventa talmente interessante da debordare e invadere le due vite. Le due persone non riescono più a respirare fuori dalla coppia: tutto resta dentro, pericolosamente statico quindi ansiogeno.

La sofferenza che entrambi avvertono deriva dall’impossibilità non solo di poter riappropriarsi del piacere delle loro libertà di scelta (l’arte, la musica, lo sport, la danza, lo studio, ecc.) ma, soprattutto, di non poter condividere, in coppia, le emozioni acquisite dalle esperienze esterne.

Gli spazi interni alla coppia diventano così angusti e ripetitivi da generare delle somatizzazioni molto fastidiose: dai disturbi della pelle agli attacchi di panico; dalle sensazioni di soffocamento ai disturbi del sonno; dalla tachicardia alla nevrosi noogena.

Quando la situazione diventa insostenibile, la coppia implode in una sorta di depressione che spinge entrambe le persone a fare una scelta: separarsi oppure chiedere aiuto.

Durante il Counseling emerge che le due persone avvertono l’urgenza di recuperare prima di tutto i contatti con le persone care e gli interessi reciproci e, contemporaneamente, di poter portare in coppia una nuova linfa proprio grazie alle esperienze e alle emozioni che entrambe – e in modo diverso – potrebbero esperire.
Il recupero dei valori significativi per le due persone, spetta al Counselor che cercherà di stimolare, in entrambe, i sentimenti preferenziali rimasti soffocati nei reciproci Pathos.

Entrambe comprendono che è un diritto ma anche un dovere vivere alcune esperienze in prima persona condividendole in coppia, quindi rinforzando la dimensione ontologica in coppia, senza mai assolutizzarla.
Nel percorso, le due persone vengono aiutate a “dare o a ridare Senso alla dimensione ontologica di coppia” che le metta nella condizione psiconoetica di fidarsi e di affidarsi al mondo esterno senza temere alcunché.

Si tratta di favorire l’integrazione di due filosofie di vita che devono rimanere uniche ed originali ma capaci di amalgamarsi con la “visione del mondo” dell’altra.

Con la modulazione dell’atteggiamento, vengono effettuati dei passi per rinforzare la consapevolezza che non si rischia nulla se ci si affaccia al mondo esterno e si porta dentro la coppia ciò che si esperisce; questa deposizione delle esperienze reciproche rinforza la relazione, la rende più ricca di Senso e aperta al mondo e, nella misura in cui si impara a tutelare ciò che si è già costruito prima della crisi, gli equilibri psiconoetici rinforzano le due persone che ritrovano la gioia di vivere.

Il Counseling Filosofico-Esistenziale non deve essere inteso come una modalità dogmatica e precostituita che si appelli alle categorie di pensiero dei grandi Filosofi, ma come l’“aggancio al modo di pensare, alla filosofia personale” del Consultante: ogni persona possiede una filosofia di vita che la caratterizza e la rende unica ed è proprio questa che va rispettata ed integrata con spunti noetici (del proprio modo d’essere che ha bisogno di venire recuperato) che possano arricchirla. Entrando intenzionalmente nell’ottica trascendente si impara a curare l’insopprimibile esigenza umana di procedere senza più vincoli frenanti e si comprende che nulla può essere statico né conclusivo e che, come sosteneva Eraclito: “per quanto camminerai, non potrai mai raggiungere l’orizzonte” ma intanto, mi piace aggiungere, tu cammini…

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Magda Maddalena Marconi
Psicologa Psicoterapeuta Logoterapeuta Via fiume,4 31038 Paese (TV)
Tel. 0422-458.623 magdamarconi@libero.it