PREMESSA
La consapevolezza dello stato di sieropositività, in un soggetto, funge, fin dal primo momento, da fattore scatenante la depressione.
Esistendo una stretta correlazione tra sieropositività e difese immunitarie, è giusto tener sempre presente il fatto che, questa correlazione, viene costantemente “gestita” dallo stato intrapsichico del
paziente. Il soggetto si trova “imbrigliato” in un circolo vizioso dal quale sa di non poter più uscire. Questo evento stressogeno quotidiano mina costantemente l’assetto psico-neuroendocrino-immunologico che si trasforma in un circolo patologico autogenerantesi.
Con la Psicoterapia Breve il terapeuta può farsi breccia nella realtà psichica del paziente permettendogli così, di spezzare il legame autodistruttivo e ricreare un equilibrio accettabile.
TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO
Dopo aver stabilito una forte alleanza terapeutica con un paziente HIV+ prendo atto della sua diagnosi clinica rendendomi subito conto che il suo quadro è gravissimo.
Sovvertendo qualsiasi tipo di ortodossia, ma prestando il fianco invece alla mia intuizione decido d’intervenire in modo direttivo perchè questo tipo di paziente oltre ad esseredebilitato fisicamente è anche fragile emotivamente: secondo me va gestito. Nel silenzio musicale del mio studio, pianifico la psicoterapia considerando la realtà di questo paziente:
la situazione psicologica già precedentemente minata da un background familiare carente dal punto di vista affettivo è disforica; il sistema immunitario e neuroendocrino sono da
ripristinare completamente; il sistema nervoso autonomo è continuamente minato dalla grave situazione ansiogena causata dalla consapevolezza della patologia. Percepisco, già dopo la prima seduta, l’urgenza del paziente: è ben motivato ad iniziare. Gli strumenti che utilizzo mirano a tre scopi: il raggiungimento dell’autogenia per la calma interioreutilizzando il Trainig Autogeno di Schultz soltanto però con le variabili della pesantezza e del calore; il rinforzo del Sistema Immunitario con l’utilizzo della tecnica ipnomatica e la crescita dell’Io con il ripristino dell’autostima utilizzando l’oniroterapia in chiave analitica.
Non sono ancora consapevole del fatto che in un ambiente come quello dell’istituzione pubblica il mio piano potrebbe incontrare ostacoli insormontabili a causa delle continue
intrusioni da parte del personale medico e paramedico. Me ne rendo conto molto presto e ciò causa dei problemi sia al paziente che a me. Ad ogni modo non demordo mai. Fin dalle
prime sedute gli spiego nel modo più semplice possibile che cosa avviene in un organismo debilitato da notizie ed eventi stressogeni. Quali sono gli effetti sull’equilibrio psico- fisico di un essere umano che non è mai, in nessun caso preparato ad affrontare certi eventi.Percepisco la difficoltà di questo paziente nel comprendere realmente che cosa significhi l’equilibrio dei sistemi immunitario-neuroendocrino-vegetativo, comunque mi propongo nel modo più elementare possibile per fargli comprendere ciò che mi appresto a svolgere.
Il primo momento lo dedico ad alcune sedute di rilassamento frazionato di Vogt per indurre nel paziente la calma, l’autogenia e la concentrazione passiva.
L’approccio del paziente è buono: evidentemente avverte proprio l’esigenza di fare qualcosa per sè. Esegue regolarmente il training tre volte al giorno comunicandomi sempre le sue prime impressioni positive di tranquillità interiore. Dopo questo primo passo in cui è già
avvenuto un “tamponamento” allo shock emotivo iniziale, sento di dover lavorare sulla depressione fisiologica ma anche psicologica del paziente che sente di essere in balìa di un
evento minaccioso, ignoto, difficilmente controllabile, che non può che indurre sentimenti di disperazione e di solitudine. Lo stato di sieropositività condiziona pesantemente molti aspetti fondamentali dell’esistenza. Mi sento investita di una enorme responsabilità nei confronti di un paziente di questo tipo. Mi trovo a dover fare i conti con tante realtà in un unico soggetto. Il paziente vive confrontandosi continuamente con la sua malattia ed è
sottoposto allo stress di accertamenti diagnostici e terapie mediche che rappresentano un ulteriore carico di disagi.
Nuovi sintomi possono comportare la perdita definitiva della speranza e l’insorgere di un grave stato depressivo. Per questo è fondamentale che l’intervento psicologico non si
limiti a incontri sporadici, ma garantisca al paziente un sostegno durante tutto il decorso della malattia, estendendosi anche alla famiglia e al partner. È importante far sì che le
persone colpite dall’infezione non si sentano emarginate e che alle sofferenze prodotte dalla malattia non si aggiunga il dolore dell’isolamento. È indubbio il fatto che la notizia della sieropositività induca, in qualsiasi persona, uno stato di sconforto ineluttabile che si traduce in agente stressogeno difficilmente gestibile. È ormai noto che, a livello eziopatogenetico, sono molto più deleteri i microstimoli quotidiani legati alla consapevolezza della malattia, piuttosto che gli eventi, intensi ma saltuari, che possono avvenire durante l’arco della vita. Perciò la consapevolezza di vivere una situazione che può, da un momento all’altro, degenerare, rappresenta un insieme di stimoli quotidiani stressanti. Quindi un soggetto che già presenta una deficienza del sistema immunitario, vive la minaccia del virus che può degenerare, in modo altamente ansiogeno da accelerare proprio ciò che teme.
Lo stress prolungato nel tempo determina anche una produzione di cortisolo che causa, tra l’altro, linfocitopenia e agisce anche a livello delle difese immunitarie quando ne venga
aumentata la produzione.
Negli ultimi anni un numero crescente di studi ha permesso di provare con certezza che gli stressor di natura emozionale interferiscono a vario livello con la reattività del sistema
immunitario condizionandone l’efficienza in modo notevole fino al punto da portare ad un aumento della suscettibilità alle malattie infettive e della mortalità. Procedo quindispiegando al paziente l’importanza delle tecniche di rilassamento per rallentare l’attività del sistema limbico e dell’ipotalamo, strutture fondamentali per l’elaborazione degli stati emotivi. Mi sembra di cogliere dalla comunicazione verbale e non del paziente una buona
disponibilità e motivazione ad uscire dalla sua situazione debilitata. Dentro di me percepisco la solita carica che mi pervade in circostanze simili, quando cioè devo far fronte ai miei fantasmi di morte e mi alleo alla sia pur fragile carica inconscia contro la morte presente nel soggetto. Dopo soli tre giorni di training ho in mente di procedere pur sapendo
di andare contro tutte le regole ortodosse della psicoterapia Quello che conta in questo momento e in questa situazione è l’urgenza dell’intervento. Sono consapevole che potrebbe
essere rischioso ma, proprio per questo utilizzo soltanto reve in salita che, in ogni caso, non smuovono dinamiche del profondo disturbanti. Più che mai, in questo momento iniziale
della terapia, è urgente e importante creare nel paziente la consapevolezza di poter controllare il Sè biologico tramite il training e la sensazione di alleggerimento grazie ai reve in salita. Spiegandogli, subito dopo, la stretta correlazione esistente tra le difese immunitarie e le patologie a prognosi infausta gli propongo una serie di esercizi miranti
esclusivamente al ripristino di questi equilibri con visualizzazioni dell’asse ipotalamo-gonadale.
Nei momenti di colloquio cerco di “contenere” l’ansia del paziente che non deve mai fungere da attivatrice degli squilibri immunitario, endocrino e vegetativo.
Mi sembra d’intuire, da parte sua, il completo affidarsi a me, cosa che ritengo di fondamentale importanza come substrato propulsivo al successo della psicoterapia.
Considerando poi che il paziente è ben motivato, penso, fin dall’inizio, che gli esiti arriveranno quanto prima, anzi dentro di me voglio che arrivino. Il paziente mi chiede cosa
sono quelle strane sensazioni che avverte nel corpo durante gli esercizi. Gli spiego che sono “scariche autogene” utili a smobilitare vecchie tensioni fisiologiche e psicologiche
accumulate nel tempo. Sembra soddisfatto, però mi sembra di cogliere in lui dell’incredulità, ma penso che si ricrederà quanto prima. Mano a mano che i giorni passano il paziente mi ripete più volte di percepire una sensazione generale di benessere e di tranquillità profonda. Evidentemente è sempre più motivato a riprendersi e a vivere bene. Nonostante il mio intento sia quasi esclusivamente quello di lavorare sull’aspetto fisiologico, il paziente continua a mandarmi messaggi non verbali ma molto chiari sull’urgenza che avverte di fare chiarezza in sè. Il compito per me è particolarmentegravoso quindi utilizzo l’escamotage di prolungare, il più possibile, la fase di rilassamento frazionato facendogli “sentire” soprattutto l’area polmonare e anale e, solo in un secondo momento più breve, gli propongo immagini in salita. Emerge sempre più nel paziente la curiosità legata all’analisi personale ma mi rendo conto che attualmente non sarebbe positivo nè utile al paziente conoscere tematiche legate ai propri vissuti. Non voglio sovraccaricare questo soggetto già pesantemente condizionato dai problemi legati alla malattia. Nel prosieguo della psicoterapia il paziente mi comunica di trarre grossi vantaggi nel rendersi conto che è proprio lui a “creare” qualcosa, quindi la sua autostima, prima piuttosto bassa, comincia a formarsi. Purtroppo ogniqualvolta il paziente si trova a dover affrontare un esame clinico o un intervento va in depressione, gli aumenta la temperatura corporea e si sente fisicamente debilitato.
Sono momenti difficili ma gli comunico che è importante non demordere mai. Da parte mia c’è sempre più carica e spero che il paziente la percepisca. Ad un certo punto il soggetto deve essere sottoposto alla broncoaspirazione: subentra la depressione. Mi comunica di non riuscire più ad eseguire gli esercizi; il momento è certamente difficile. Lui èparticolarmente scosso e disforico ed io ho la sensazione che proprio in questo momento critico, non sia in grado di gestirsi: devo contenerlo. È troppo angosciato e l’ansia è
troppo fluttuante. Cerco di rincuorarlo in modo che non si senta in colpa per il fatto di non eseguire gli esercizi. Lo porto completamente fuori dalla realtà emotiva nella quale si trova a dover lottare in questo momento difficile. Ha bisogno di liberarsi… Avverto chiaramente dentro di me il bisogno urgente di aiuto che questa persona vive. Anche dal comportamento non verbale mi trasmette il suo vissuto: deve subire un iter coercitivo troppo stressante. Faccio in modo che “scarichi” l’ansia facendolo parlare di tutto tranne che della realtà del reparto infettivi e della sua malattia. Vado, di proposito, anche nel banale pur di sviarlo dalle fonti stressogene. Insomma, cerco di “alleggerirlo” dalla sua oppressione attuale enoto, soprattutto dallo sguardo, la sua capacità e volontà di farsi gestire nella misura in cui,
evidentemente, ne ha l’esigenza. Soprattutto nelle situazioni critiche, quelle in cui il paziente ha urgenza d’essere aiutato, il mio controtranfert è molto caricato d’empatia e
di bisogno di dare il massimo di me per sostenerlo: è una sorta di sfida! L’aspetto logorante nel seguire un paziente con questa patologia è il fatto che non si può mai dire che un certo aspetto, fisiologico o psichico, sia stato affrontato, elaborato quindi superato come con gli altri pazienti in quanto esiste la costante della fonte stressogena della prognosi che mina ogni traguardo raggiunto dal paziente nella misura in cui il paziente stesso ha una struttura difondo instabile. Ecco, dunque, l’importanza di lavorare su tre fronti: fisiologico-esistenziale-emotivo. Tutti e tre gli aspetti vanno tenuti costantemente sotto controllo. Basta che uno dei tre abbia un calo, subentra un calo anche degli altri due. Nessuno dei tre deve fungere da “calamita depressogena”.
Anche i valori clinici, in questi pazienti, si modificano molto frequentemente in relazione al grado d’ansia vissuto, deprimendo, di conseguenza, i pazienti stessi. È un circolo
vizioso dal quale è importante uscire! Anche ripristinare continuamente, attraverso rinforzi positivi, la loro fiducia, è di fondamentale importanza. Con questo paziente ho utilizzato tecniche ipnotiche anche per l’abbassamento e la normalizzazione della temperatura corporea. In due mesi di psicoterapia la sua disforia ha lasciato sempre più il posto ad una situazione generale di benessere psico-fisico.
Attualmente do delle suggestioni miranti esclusivamente all’aspetto endocrinologico attivando, a livello fantasmatico, i vari assi neuroendocrini. Credo profondamente nelle potenzialità intrinseche dell’essere umano in difficoltà. È proprio nei pazienti che rivivono i loro fantasmi di morte che scatta, a volte, l’istinto di autoconservazione. Se questo non viene stimolato, dopo un po’ soccombe all’ineluttabilità della patologia, altrimenti può
avvenire un potenziamento psicofisiologico tale da ottenere esiti veramente strabilianti. Il caso esposto qui ne è un esempio lampante. I miei progetti mirano ad approfondirel’eziopatogenesi delle patologie a prognosi infausta con interventi mirati al rallentamento delle stesse, in modo da permettere ai pazienti di migliorare la qualità della loro vita!
Dott.ssa Marconi Magda Maddalena