La logoterapia sistemico-relazionale nelle famiglie con patologia pedofilica

LA LOGOTERAPIA SISTEMICO-RELAZIONALE NELLE FAMIGLIE CON PATOLOGIA PEDOFILICA

La Logoterapia sistemico-relazionale è un approccio terapeutico al sistema familiare esistente e alle sue  relazioni interne. La differenza tra questo approccio e quelli tradizionali, consiste nel fatto che la Logoterapia lavora sul sistema simbolico sotteso al sintomo patologico sistemico, mentre gli altri approcci familiari lavorano sulle relazioni personali che emergono dai singoli e dal sistema-famiglia.

La Logoterapia sistemico relazionale  mira a:

1. scoprire il tipo di relazione all’interno della famiglia esplicitato dal         sintomo-simbolo;

2. portare alla luce le ritualità esistenti fra i suoi membri;

3. creare un patto di alleanza terapeutica;

4. riequilibrare logoterapeuticamente la metafora familiare, partendo dal sintomo-simbolo;

5. scagionare reciprocamente ogni componente della famiglia, responsabilizzandolo;

6. ristrutturare  il sistema-famiglia;

7. attivare il follow up.

Questo tipo di intervento entra nel sistema familiare partendo dai simboli sottesi ai sintomi familiari. 

I sintomi rappresentano simbolicamente dei bisogni. Se togliamo i sintomi soffochiamo i bisogni e li lasciamo insoddisfatti rischiando di farli riemergere in altra forma spesso patologica.

Il logoterapeuta, nel rispetto della persona, non toglie i sintomi senza prima avere la possibilità di compensare il vuoto lasciato dagli stessi, ma aiuta il paziente e la sua famiglia a scoprire i propri bisogni quindi a non necessitare più dei sintomi. Una volta capito il significato dei sintomi, la famiglia si attiva per dare senso e valore ai bisogni sottesi; in tale modo i sintomi si ridimensionano fino a svanire.

Il logoterapeuta aiuta ogni persona a ricalibrare i propri sintomi inserendosi in un ordinamento familiare risanato. Ogni membro della famiglia collabora alla ricalibratura dei sintomi-simboli.

Un padre che lamenta al logoterapeuta fantasie pedofiliche non è necessariamente un padre pedofilo. Però il suo sintomo vuole trasmettere qualcosa: è indiscutibilmente il simbolo di un disagio. Ad un certo punto della vita matrimoniale un suo disagio viene ‘spinto fuori’ tramite un sintomo che lui percepisce molto disturbante.

Nelle prime sedute il logoterapeuta mette a fuoco il sintomo-simbolo cercando di capire il tipo di relazione familiare che mantiene in vita il sintomo; quindi non considera il pedofilo un malato ma un essere umano che manifesta un problema come quando una persona in fase di grave crisi manifesta una paralisi isterica o una regressione psicotica. Come la persona con paralisi isterica non ha mai evidenziato precedentemente il suo disturbo, così un uomo può, in fase di grave disagio, fantasticare “come se” fosse pedofilo.

Quando il sintomo-simbolo è ben evidente, il terapeuta cerca di scoprire i riti esistenti nella famiglia e la metafora che li sottende. 

Il simbolo è portatore, quindi, della causa sottesa al problema che rappresenta.

Il logoterapeuta, scoprendo il sintomo-simbolo, è già in contatto diretto con il processo causa-effetto, ma non si sofferma in questa diade:  va oltre: si proietta nel futuro non nel passato. 

Nella seconda fase che definisco portare alla luce le ritualità esistenti fra i membri dellafamiglia, il lavoro del logoterapeuta mira a far prendere coscienza dei riti che si ripetono, più o meno nascostamente, e che  ‘alimentano’ il sintomo. I riti sono  interrelazioni  ad incastro che hanno scopi ben precisi: da una parte danno continuità alla storia familiare codificandone i comportamenti, dall’altra parte ne stimolano il cambiamento.

In ogni famiglia esiste almeno un componente che si ribella ai riti e ai miti (la cosiddetta ‘pecora nera’ della famiglia). Questa ribellione viene sentita dagli altri familiari come “angoscia di perdere la propria identità familiare” ma, in alcuni momenti viene sentita  anche come speranza di modificare le ritualità; come ‘boccata d’aria’ verso il cambiamento sperato. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo!

Il conflitto che si crea (tra continuità e cambiamento) mantiene in vita il rito il quale, nel tempo, scolpisce nello spazio e nel tempo familiare un significato metaforico. La famiglia viene così caratterizzata da un valore metaforico che il logoterapeuta non modifica né prende di mira perché può essere utilmente funzionale a quel tipo di famiglia. Quello che può fare, invece, è stabilire un patto di alleanza terapeutica con tutti i componenti della famiglia (terza fase) e procedere   cercando di  riequilibrare i comportamenti sintomatici di ognuno.

Molte volte accade che, svuotando di senso il sintomo-simbolo, anche le ritualità perdano significato e la metafora che rappresenta la famiglia rimanga solo un’impronta senza più forza incidente. E’ anche il caso   delle famiglie con disturbi alimentari: i sintomi svaniscono, i riti cambiano espressione ma la metafora della famiglia invischiante rimane, anche se con minor forza.

E’ molto importante, una volta svuotato di senso il sintomo, dare subito al paziente la possibilità di ‘riempire’ il vuoto che percepisce con un nuovo senso. Ritrovare un nuovo senso per cui vivere evita alla persona di sprofondare nella depressione.

Ognuno deve avere la possibilità di capire i sintomi-simboli, di comprendere le ritualità sottostanti e di rimodellare le dinamiche metaforiche in senso virtuoso.

Dentro un sistema familiare è inevitabile che  esistano delle relazioni (anche quando non esiste dialogo) all’interno delle quali vivono delle persone che   possiedono caratteristiche personali uniche. Possiamo immaginare il numero elevato di  intrecci psicologici e relazionali!  

La Logoterapia sistemico-relazionale lavora per scoprire non solo il senso (Logos)  che ogni membro familiare dà al suo collocarsi nel proprio nucleo ma anche  il senso del sistema-famiglia nella sua totalità. 

Il senso personale e familiare si regge grazie al significato profondo che possiede la mappa valoriale (i valori che amiamo, ai quali non vogliamo rinunciare) di ognuno e della famiglia. 

La mappa interna dei valori di ognuno dovrebbe trovare una buona sintonia con quella degli altri componenti della famiglia. Se la mappa valoriale di ogni membro familiare non trova dei ‘punti di contatto’ con gli altri componenti, non solo il rapporto umano non si crea, ma si basa su conflitti valoriali insopportabili.

Un esempio può chiarirci le idee: la prima persona possiede una mappa valoriale costituitadai  valori  del successo, dello sport, delle relazioni sociali e del danaro. La seconda persona crede invece nei seguenti valori: studio, cultura, riservatezza,  discrezione e parsimonia. Sarà molto difficile che queste due persone possano convivere felicemente perché le mappe valoriali hanno molto poco in comune. Potrebbe funzionare solo se, per tutte due, ‘l’Altro’ rappresentasse un bisogno compensatorio ma è improbabile che ciò accada in modo così coincidente. E, in ogni caso, anche se ciò accadesse, il rapporto non durerebbe molto in quanto sarebbe un tipo di ‘relazione a stampella’: io sorreggo te e tu sorreggi me; appena uno dei due cresce (o regredisce) non sorregge più l’altro il quale va in crisi. La persona che è cresciuta cercherà una nuova relazione e l’altra, in difficoltà, cercherà un sostituto compensatorio.  

Nella dinamica familiare pedofilica in genere è il pedofilo ad essere abbandonato (dalla famiglia e dalla società)  e a trovarsi nella condizione di dover cercare subito un sostituto.

Da tutto ciò si evince che le interazioni umane sono talmente poliedriche da generare inevitabilmente delle reazioni a catena ogniqualvolta all’interno del sistema accade qualcosa. 

Anche le minime variazioni conflittuali possono generare cambiamenti di equilibrio con un senso profondo di afflizione. 

Ogni reazione psicofisica nasconde sempre una causa ma, per evitare di cadere nel tranello della logica (illogica) dei mandati o deleghe familiari, bisogna ricordare che, per aiutare veramente una persona in difficoltà, ogni conflitto deve essere circoscritto il più vicino possibile alla persona stessa. Altrimenti risaliamo al peccato originale! 

Un approccio causale di ciò che accade nelle dinamiche familiari rischia, come ho potuto  constatare già molte volte, di  protrarre eccessivamente la terapia. Sapere che l’attuale problema dipende da una catena che si eterna,  non alleggerisce la persona, anzi, le dà la sensazione di essere disperatamente condizionata dal destino, e che quest’ultimo si perpetuerà! 

Quanta delusione e, a volte, disperazione, sapere di essere collocati in un disegno prestabilito e sentirsi vittime di un decorso inalienabile. In questo modo la persona che soffre perde totalmente la sua libertà di scelta. Decidere liberamente  di staccarsi dai giochi psicologici perversi della famiglia a cui si appartiene; prendere coscienza che si può, con la modulazione dell’atteggiamento e con l’appoggio ai propri valori, crearsi una  propria vita: tutto questo è un diritto sacrosanto di ogni essere umano. Nessuno dovrebbe sentirsi vittima di un sistema costituito da mandati comportamentali familiari che risalgono, come dice la Lukas, ad Adamo ed Eva.

Certe scuole di formazione inculcano insistentemente negli allievi questo concetto e sfornano professionisti  che, ahimè, diventeranno vittime dei loro stessi problemi credendo che da quel destino  non si possa sfuggire. Il vero problema è che si ostineranno a farlo credere ai loro futuri pazienti! Molte persone che si rivolgono al mio studio mi confidano di sentirsi vittime di quei preconcetti.  Io, da psicoterapeuta-logoterapeuta, metto le persone nella condizione di ricredersi  sul significato di quelle teorie grazie ai valori di creazione e di esperienza che possiedono e che rinvengono dentro di loro. Il nuovo significato della vita che scoprono,  dà loro la risposta più saggia senza che io metta mai in cattiva luce il lavoro dei miei colleghi.

Quando tratto l’uomo come vittima delle circostanze, non solo smetto di considerarlo un essere umano, ma mortifico la sua volontà di cambiare e migliorare. 

Mai nessun membro della famiglia dovrebbe perdere  la libertà di scelta; né la responsabilità del singolo dovrebbe essere  trasformata in una responsabilità generazionale: in questa assurda realtà nessun singolo è mai il responsabile di un problema familiare! Il sistema familiare, come un carro armato, procede nel tempo e nello spazio lasciando nel terreno genealogico tracce pesanti e profonde sempre monotonamente identiche. I singoli si perdono in questo mostruoso assemblaggio di irresponsabilità. 

Soprattutto le persone più sensibili e fragili rischiano, in questo modo, di credere veramente che esistano dei mandati familiari dai quali non si può prescindere. Mi accade spesso di seguire persone che portano  il terrore negli occhi: indagando, emerge con grande sofferenza il segreto familiare che ha preso corpo in un suicidio accaduto due o tre generazioni precedenti. Questo fatto marchia a vita tutti i membri dello stesso sesso i quali sono profondamente convinti di dover cadere inevitabilmente dentro il baratro  del suicidio. 

Naturalmente se si crede nel destino familiare, una figura parentale pedofila,  lascia nella famiglia una tale risonanza emotiva da far perpetuare lo stesso comportamento. Ho sentito pedofili sostenere che in famiglia è giusto che il padre diventi possessore, a tutti gli effetti, delle proprie figlie (“per le bambine è meglio essere possedute prima di tutto dal papà”) e questo tremendo messaggio è passato attraverso i secoli come un diritto dell’uomo, come un segno di potenza, di forza dell’uomo sul genere femminile, sempre da nascondere ma da perpetuare. In tutto questo sotterfugio culturale, anche l’approccio causale di molti indirizzi psicoterapeutici ha un’enorme responsabilità: le vittime sono destinate a  restare vittime mai persone libere di scegliere con  responsabilità.

Ad un ragazzo che sto seguendo attualmente e che lamenta fantasie pedofiliche è stato detto “rassegnati, stai andando verso la pazzia…ti do questi farmaci così starai meglio”. Questo comportamento vergognoso, che fa capire molto chiaramente lo scopo sotteso, marchia a vita questo ragazzo il quale, con me, sta faticando a credere al contrario, anche se cerco di metterlo continuamente di fronte ai suoi atteggiamenti sani e corretti. Il danno è fatto? Sicuramente in parte sì perché questo giovane si porterà sempre con sé il ricordo di quella diagnosi perentoria e infamante.

Grazie alla Logoterapia e alle visualizzazioni guidate, riusciamo a superare l’approccio causale nichilista (siccome…allora; con gli inevitabili mandati familiari) reputando utile quello ‘finalistico’.

Non ci si sofferma mai, in modo pessimistico, sui fatti del passato ma si cerca di dare un senso  a ciò che è accaduto, affrancando il paziente da quell’impronta nichilista. 

La Logoterapia non trascura a priori le cause dei problemi ma non si sofferma ad analizzarne le radici in modo ossessivo. Molti miei pazienti mi riferiscono di aver trascorso anni interi nel tentativo psicoanalitico di risolvere dei problemi senza  mai raggiungere l’obiettivo della risoluzione degli stessi. Dicono “ho capito perfettamente le cause dei miei problemi però non ho risolto nulla, mi trovo ancora al punto di partenza”. Questa considerazione, più che mai deprimente, ci serve per capire l’importanza del procedere verso il futuro piuttosto che indugiare maniacalmente sui fatti del passato.

Noi psicoterapeuti e logoterapeuti dobbiamo dare al paziente la possibilità di uscire quanto prima dai disagi. 

Io ribadisco spesso che la cosa più importante è affrontare subito i problemi che causano ansia: uno alla volta vanno bloccati i circoli viziosi rendendoli virtuosi poi, se la persona desidera analizzare il passato, sarà lei a decidere. Nessuno mi ha chiesto mai, a terapia conclusa, di rimettere in discussione i fatti del passato. Mai!  Questo la dice assai lunga sul bisogno che le persone hanno di stare bene e  non di ‘rimescolare’ fatti che non possono cambiare. Piuttosto è importante trovare il senso che i fatti del passato possiedono. Ogni esperienza del passato possiede un suo senso intrinseco che deve essere scoperto dal paziente per ristabilire il suo equilibrio tridimensionale (corpo-mente-spirito).   

La mia formazione personale si avvantaggia anche di un percorso psicoanalitico che però mi sostiene poco nella libera professione proprio per le esigenze dei  pazienti di oggi.

Ho avuto ed ho la fortuna di utilizzare molte tecniche e modalità d’intervento e ho potuto constatare quanto sia più funzionale alla salute delle persone la  “psicoterapia  multimodale breve” interrelata alla Logoterapia in tutte le situazioni di disagio psicofisico, anche patologico (psicosi, nevrosi, borderline). 

E’ sicuramente affascinante per me analizzare in chiave freudiana o junghiana i vissuti dei pazienti ma deve restare interessante solo per me. Ritengo che sia più onesto evitare di esternare   elucubrazioni e sottrarre le persone dalle lungaggini psicoanalitiche. 

Nella patologia familiare compresa quella pedofilica, si porta alla consapevolezza della persona il meccanismo familiare sotteso al problema (per cambiarlo nel presente, in prospettiva futura) e si rende responsabile ogni membro della famiglia guidandolo verso un obiettivo completamente diverso da quello che conduceva al perpetuamento del problema stesso. Personalmente,  durante il  cambiamento delle modalità familiari e personali, io utilizzo anche le resistenze, qualsiasi esse siano. Metto così  le persone nella condizione più tranquilla per fare ciò che si sentono di fare.  Ritengo doveroso che sia io a dovermi adattare a loro e mai il contrario. Con la Logoterapia si procede nell’assoluto rispetto dell’unicità della persona che chiede aiuto. Se nella sua unicità si attivano delle resistenze (con il pedofilo si presentano frequentemente), anche quelle vanno rispettate ed utilizzate. Non si dovrebbe mai  criticare   le resistenze come se fossero degli atteggiamenti voluti dal soggetto: il paziente si sente in colpa perché, agli occhi del terapeuta, non vuole collaborare. 

E’ molto più efficace utilizzare la resistenza senza farlo notare alla persona e poi, solo se serve,  farlo presente altrimenti è meglio procedere. 

Per interrompere un sistema familiare che funziona in modo causale (cioè che ognuno crede di dover perpetuare un comportamento precedente e che esista un colpevole), il  logoterapeuta sprona i singoli membri a risvegliare  la ‘volontà  intenzionale’  per compiere degli atti volti al cambiamento. Questi ultimi vengono sostenuti dalla ‘volontà di significato’ del singolo e dalla ‘volontà di significato della famiglia’.  Utilizzando la tecnica delle visualizzazioni guidate di gruppo con l’intera famiglia (nella stessa seduta) ed elaborando ogni produzione ed ogni emozione, ci si rende conto che solo in questo modo è possibile scoprire l’autentico simbolo legato al sintomo. Il simbolo di ognuno viene accostato al simbolo degli altri membri della famiglia e ognuno, parlando, espone le proprie elaborazioni al fine di trovare le soluzioni più adatte ad ogni membro e, in ultima analisi, al resto della famiglia. Quando avviene l’elaborazione “aperta” si ha la sensazione di giocare a carte scoperte in modo non solo consenziente ma piacevolmente vissuto da tutti. 

Tutto questo ha senso nella misura in cui ad ogni singolo preme il valore della famiglia, la sua cura, la sua crescita, il suo futuro sereno. Se ciò non esiste si sostiene la persona a coltivare la sua ‘volontà di significato’ fuori dalla famiglia. 

Durante la Logoterapia sistemico-familiare , ognuno si accorge di non essere più vittima dell’altro ma di diventare ‘volutamente responsabile’ tanto quanto gli altri membri della famiglia. In questo movimento collettivo, la ‘responsabilità’ rimane appannaggio del singolo e non si stempera in una responsabilità generalizzata all’intera famiglia. 

La famiglia non è una persona. Se così fosse,  la responsabilità rimarrebbe oggettiva quindi di nessuno: ognuno si deresponsabilizzerebbe! 

Il logoterapeuta permette ad ognuno di prender coscienza della propria unicaresponsabilità, operando con i singoli individui per l’armonizzazione della famiglia. Man a mano che si procede con la consapevolizzazione delle individuali responsabilità, si evidenziano tutti i traguardi raggiunti da ogni membro che, solo così, inizia ad affrancarsi dai mandati familiari.

In Logoterapia non si considera unicamente la situazione conflittuale attuale della famiglia (‘siamo incompatibili’; ‘dopo quello che è successo non riesco a stare con te’; ‘non mi sento capito’) ma si apprezzano i fatti positivi e si offre l’opportunità di lavorare per ciò che la famiglia ‘può divenire’; tutte le possibilità di significato che contiene in sé; tutto ciò che può ancora svilupparsi grazie alla volontà di significato di ognuno. Ogni parte ‘sana’ (anche piccolissima) esistente in ogni famiglia, viene ampliata offrendo sempre meno spazio alla parte ‘malata’.  

Avendo visto che anche la persona pedofila, se accompagnata in modo non accusatorio, riesce a far emergere da sé la propria volontà di significato, mi sembra molto produttivo stimolare in tutti i componenti questa potenzialità inespressa.

Quando il riflettore punta sul pedofilo tutti gli altri familiari rimangono nell’ombra e questo facilita la loro possibilità di fuga. In famiglia, ognuno è tenuto a rendere conto di ciò che accade e questo va visto non come accumulo di colpe ma di irresponsabilità. L’irresponsabilità è un sintomo che, come ogni altro sintomo, ha il suo rovescio simbolico  da scoprire.

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MADDALENA MARCONI

Psicologa Psicoterapeuta Ipnoterapeuta