La mia formazione professionale si avvale di conoscenze teorico-teoretiche da cui attingere a piene mani tutte le tecniche specifiche che mi aiutano ad aiutare i pazienti. Prese così come sono, queste teorie sarebbero aride e fini a se stesse se non fossero calate in una più ampia cornice, quella antropologica e umanistico-esistenziale, che risalta la loro efficacia perché assolutamente rispettosa dell’unicità e dell’originalità della singola Persona che soffre.

Cerco di spiegare sinteticamente i due modelli teorici (1 e 2) all’interno dell’antropologia umanistico-esistenziale (3):

  1. La Psicoterapia strategico-sistemica
  2. La Psicoterapia Breve ad indirizzo analitico
  3. La Logoterapia e l’Analisi Esistenziale
  1. La Psicoterapia strategico*-sistemica si basa su un tipo di intervento breve e focale concordato con il paziente.

E’ un intervento mirato e radicale che porta alla risoluzione del sintomo attraverso la modificazione della rappresentazione che la persona ha del proprio problema: si osservano le soluzioni messe in atto per tentare (inutilmente) di risolvere il problema utilizzando la tecnica della “ristrutturazione” messa a punto da Paul Watzlawick che “rappresenta una delle pietre miliari della terapia breve e tratta di una delle sue principali tecniche (la ristrutturazione) cioè l’abilità di costruire mediante artifici comunicativi una realtà che porta il paziente a una diversa prospettiva rispetto al suo problema e lo induce così a cambiare le sue emozioni e reazioni attraverso una forma sottile di persuasione” .

Siccome ognuno costruisce la realtà che poi subisce, se cambiano le modalità di percepirla, cambieranno anche le reazioni della persona di fronte alla stessa realtà.

*I primi contributi strategici li troviamo già nell’arte della persuasione dei sofisti, nell’antica pratica dello zen e nel libro dei 36 stratagemmi dell’antica Cina. La prima formulazione della terapia breve strategica si deve ad un gruppo di ricercatori dell’MRI (Mental Research Institute) di Palo Alto che hanno sintetizzato l’approccio sistemico con i contributi dell’ipnoterapia di Milton Erickson. Questi ricercatori (Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974) hanno inteso formulare dei modelli sistematici per far evolvere l’approccio strategico di Erickson ad una procedura clinica ripetibile. Parallelamente a questi studiosi, troviamo Jay Haley esponente del noto gruppo di Bateson  per gli studi sulla comunicazione e, negli anni ottanta, Steve de Shazer del gruppo di Milwaukee seguito da studiosi quali Madanes, 1984; O’Hanlon, 1987; Wilk, 1987;  Weiner-Davis, 1989; Nardone, 1991;  Berg, 1994 e Bloom, 1995.

2.3. La Psicoterapia Breve ad indirizzo analitico inserita nella Logoterapia e nell’Analisi Esistenziale.

L’orientamento Umanistico-Esistenziale non si attiene ad una epistemologia inquadrabile in teorie scientifiche  ma si avvale di una visione antropologica di ampio respiro. L’antropologia Umanistico-Esistenziale pone al centro della sua attenzione l’Uomo e tutto ciò che riguarda se stesso e le sue relazioni interpersonali.  I valori e i principi dell’essere umano non possono e non devono essere falsificati  perché appartengono ad una singola persona e non ad una teoria.

L’uomo è un essere sociale, inserito in un contesto di relazioni umane ma, soprattutto, un essere  che possiede la facoltà di  scegliere liberamente grazie al valore della possibilità intesa come  potenzialità destinata a realizzarsi. Nella libertà dell’uomo vi è sempre un significato da realizzare ed è solo con il senso della responsabilità che si attua.

L’indiscutibilità e l’infalsificabilità dei valori del singolo, lo mettono nella condizione di essere l’unico responsabile delle sue scelte quindi l’unico depositario della sua dignità.
Il movimento Umanistico-Esistenziale che vede in M. Heidegger, L. Binswanger, G.W. Allport, A.H. Maslow, R.May e V.E. Frankl, E.Lukas e E.Fizzotti alcuni tra i suoi massimi rappresentanti, rimanda ad una concezione dell’uomo e ad una visione dell’esistenza che si contrappone ad ogni riduzionismo di tipo meccanicistico ed assume come finalità immediata quella di ricondurre l’uomo alla sua dimensione più ampia e complessa: quella della sua unicità, originalità ed irripetibilità sempre come “presenza nel mondo”, il “Dasein” (inteso come esistenza, presenza ), l’esserci con … l’altro da se’” . In quest’ottica anche il disagio mentale viene considerato come una delle tante possibilità di essere dell’uomo.
Questa visione dell’uomo inteso nella sua complessità e totalità è condivisa dal modello teoretico della Scuola Bionomica di I.H. Schultzsecondo il quale il processo di guarigione può realizzarsi solo se avviene in modo conforme alle leggi della vita secondo il concetto di Bionomia. La concezione bionomica di Schultz contempla il destino di ogni persona come una sequenza di eventi attraverso cui si attualizza ogni “piano di vita”: esso è autogeno e investe la totalità di ognuno di noi cioè il corpo, la mente e il proprio modo d’essere e, in questo processo evolutivo, diventare Persona significa essenzialmente “diventare quel che si è”. E’ chiaro come queste due prospettive si integrino e convergano in un’unica visione dell’essere umano permettendo una più profonda, completa e integrale interpretazione della realtà dei pazienti e degli obiettivi dell’azione terapeutica.

Il modo di essere della singola persona è l’esistenza: l’uomo, in altri termini, in quanto Singolo, realizza la sua specifica essenza solo attraverso i singoli atti della sua esistenza.

Se l’esistenza, quindi, costituisce il modo di essere del Singolo bisogna dire, secondo Kierkegaard, che l’uomo è ciò che sceglie di essere, è quello che diventa e l’esistenza è libertà, è poter-essere, cioè possibilità.

Scrive Kierkegaard nel suo Diario:

“La possibilità è la più pesante di tutte le categorie. Veramente si sente dire spesso il contrario, che la  possibilità è così lieve e la realtà invece tanto pesante. Ma da chi si sentono fare tali discorsi? Da alcuni uomini miserabili, che non hanno mai saputo cosa sia la possibilità. Di solito la possibilità di cui si dice che è così lieve si intende come possibilità di felicità, di fortuna, ecc. Ma questa non è affatto la possibilità; questa è una invenzione fallace che gli uomini, nella loro corruzione, imbellettano, per avere almeno un pretesto di lamentarsi della vita e della Provvidenza, e per avere un’occasione di farsi importanti ai propri occhi. No, nella possibilità tutto è ugualmente possibile e chi fu realmente educato mediante la possibilità, ha compreso tanto il lato terribile quanto quello piacevole”.

Gli psicoterapeuti ad indirizzo umanistico-esistenziale possono appartenere a scuole differenti per ciò che concerne la prassi clinica. Ogni particolare tecnica applicata, perciò, dipenderà dalla situazione esistenziale, per cui caratteristica fondamentale del terapeuta sarà, di necessità, una sostanziale flessibilità: la differenza rispetto agli altri indirizzi terapeutici, quindi, è da rilevare nella cornice entro la quale ogni tecnica è compresa, nonché nell’atteggiamento proprio del terapeuta nei confronti dell’essere umano in difficoltà. La psicoterapia breve è da intendersi sostanzialmente come un processo aperto, nel senso che in esso possono essere recepiti apporti sia teorici sia tecnici anche molto diversi tra loro e che non si tratta di creare una concorrenzialità bensì una scelta libera ed oculata al fine di aiutare la persona che chiede aiuto.

Con il proprio bagaglio di conoscenze ed abilità tecniche, quindi, il clinico che intende porsi come terapeuta esistenziale è veramente tale quando è in grado, come afferma Binswanger, di porsi in relazione al paziente come “un’esistenza che comunica con un’altra”.

La scuola psicoterapeutica di Viktor Emil Frankl (Terza Scuola di Psicoterapia Viennese)  è stata sovente considerata la più rappresentativa tra le diverse scuole a orientamento esistenziale.

Aiutare un uomo a ritornare alla propria esistenza, significa aiutarlo a percepire  il campo vasto delle possibilità che gli si offrono da realizzare e che costituiscono effettivamente una sfida.

Dal momento che ogni esistenza umana è sempre specifica, unica ed irripetibile, anche “il compito” non è qualcosa di generale, di valido per tutti e per ognuno, di permanente in ogni tempo, ma varia da uomo a uomo, perché corrisponde all’unicità e all’individualità di ciascuno.

Essere-uomo significa essere al di sopra di se stesso, non chiuso in un  mondo individualistico, esclusivistico, monadologistico. Essere-uomo significa trascendere se stesso, essere orientato non verso le proprie condizioni psichiche, ma verso il mondo dei potenziali valori e significati che attendono di essere realizzati ed attualizzati.

Jasper sostiene che “ciò che l’uomo è lo è mediante la cosa che riesce a fare sua”. Jaspers tende, quindi, a spostare in avanti l’attenzione dell’uomo, orientando la sua intenzionalità oltre se stesso.

In questo appare chiaro il legame con Frankl, quando Jasper ritiene che l’attuazione di se stesso non è la destinazione ultima dell’uomo e neppure la sua intenzione primaria. La realizzazione di se stesso è un effetto secondario, il risultato della ricerca del significato della propria vita: se l’uomo tenta solamente di realizzare se stesso, e non piuttosto il significato della vita, l’autorealizzazione perde immediatamente qualsiasi giustificazione.

Risulta evidente la sintonia del pensiero antropologico di Jaspers con quello di Frankl. Per ambedue, infatti, “l’uomo è un essere che sempre decide, ossia l’essere che non è semplicemente, ma sempre decide ciò che è, andando al di là di qualsiasi determinismo, sia esso psicologico o sociologico, teologico o fisiologico, personalizzando la sua vita e le sue attività”.

E da ciò, l’uomo ha bisogno di amare, perché nell’amore rivela ciò che è quindi, per Jaspers, la verità ha origine nella comunicazione, nel rapporto personale e intimo di due esseri, poiché l’esistenza giunge a se stessa solo attraverso l’incontro con un’altra esistenza.

Nel quadro dell’antropologia ad orientamento esistenziale, come si è rilevato in precedenza, un posto di rilievo occupa indubbiamente, specialmente a livello clinico, la figura ed il pensiero di Ludwig Binswanger e la sua Daseinsanalyse, che il Italia è conosciuta e citata spesso col termine di Antropoanalisi. E di indubbio interesse è il rapporto che lega l’Analisi Esistenziale frankliana (Existenzanalyse) all’Antropoanalisi binswangheriana (Daseinsanalyse).

Binswanger, “[…] all’homo natura di Freud, dominato unicamente dall’istintualità, […] contrappone l’homo existentialis, l’uomo nella sua interezza, ben diverso da un puro meccanismo e considerato nel suo essere-nel-mondo”.

Essere-nel-mondo, per Binswanger, significa “[…] contemporaneamente essere-nel-mondo-con gli altri, il che vuol dire che la presenza del singolo è sempre con le altre presenze”. In tale prospettiva, analogamente a Frankl, non solo Binswanger supera l’opposizione scientista e riduzionista tra soggetto ed oggetto, ma “[…] la soggettività viene illuminata come trascendenza, schiudendo un nuovo orizzonte per la comprensione antropologica e dei particolari modi di essere dell’uomo”.

Inoltre, un fondamentale merito, riconosciuto da Frankl a Binswanger, è quello di “[…] aver riportato la malattia mentale nella sfera dell’essere, sottraendola alla sfera dell’avere, e indicandola come un modo di presenza umana”.

La Logoterapia e l’Analisi Esistenziale si appellano alla dimensione noetica (spirituale) ed alla residua “forza di reazione dello spirito” nei confronti dell’area psicofisica malata o disturbata.

L’appello alla forza di reazione o capacità di resistenza dello spirito consente sia di porsi al di sopra degli influssi del proprio ambiente, sia di distanziarsi da  se stesso e costituisce il principio ispiratore della tecnica elaborata da Frankl, e chiamata intenzione paradossa, utilizzata nel trattamento di nevrosi ansiose e di fobie ossessive.

E proprio in tale appello, in tale antagonismo si è voluto vedere il coraggio di assumere il rischio di cambiare se stessi.

Risulta, allora, comprensibile il cambiamento di prospettiva operato da Frankl nei confronti di Binswanger: se quest’ultimo, infatti, “[…] lascia risolvere la persona in una esistenza neutrale dal punto di vista noetico, psichico e fisico”, senza lasciare intravedere possibilità di uscita dalla situazione morbosa, specialmente se psicotica, Frankl, invece, “[…] vuole scandagliare e porre in luce le nascoste possibilità, proprie della persona umana, alle quali fare appello per operare quel distanziamento necessario per abbandonare il piano biologico e psicologico onde passare nello spazio noetico, e cercare il significato della malattia”.

Al di là di tali differenze, comunque, tra Frankl e Binswanger esiste un punto fondamentale in cui entrambi convergono: “[…] si tratta della considerazione del modo duale di essere nell’amore”.

Frankl afferma che l’essenza dell’uomo  è quella di essere rivolto e orientato a qualcosa d’altro, a un’idea, a una persona:  l’Io diventa tale solamente nel Tu.

E’ importante considerare che, sia l’analisi esistenziale che la logoterapia, per Frankl fanno sempre riferimento, come base e fondamento dell’esistenza umana, a un assoluto: “Curare in realtà significa aiutare l’individuo a scoprire il  legame con l’assoluto e a viverlo in piena responsabilità”.

E dal momento che ogni comunicazione umana comporta una dimensione pragmatica, nel senso di un inevitabile influsso sul comportamento, la “pragmatica della comunicazione umana” non può prescindere da responsabilità etiche, sia di tipo normativo che vocazionale.

Il disagio originato da una crisi personale non si riferisce, di norma,  al fatto che qualcosa si sia verificato, quanto piuttosto al modo in cui quella cosa viene vissuta dal singolo essere umano.

In altri termini, è l’atteggiamento interiore, nei confronti della vita, della salute, della malattia e della morte, ciò che costituisce l’elemento determinante per quanto concerne il grado di disagio e di sofferenza, originati da crisi personali.

L’atteggiamento interiore risulta intimamente connesso e dipendente dal modello del mondo soggettivo che orienta i valori in cui si crede e per cui si agisce, i significati che si riesce ad annettere all’esistenza, gli scopi che si è in grado di prefiggersi e di conseguire.

In tal senso, alla base dello stile di vita di ogni individuo soggiace un sistema di valori, significati e scopi, che tende ad orientare, in maniera consapevole o inconsapevole, la sua concreta esistenza.

Qualora, quindi, il modello del mondo ed il conseguente sistema di valori, significati e scopi risultino carenti e/o incongrui, ne sarà inevitabilmente influenzato l’atteggiamento interiore e lo stile di vita, per cui l’individuo, sano o malato che egli sia, risulterà più facilmente soggetto al disagio della crisi esistenziale.

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