progetto clinico, ma l’ordine lo stabilisce, non razionalmente, sempre e solo il paziente quando scopre il suo logos. 2.4. La libertà disorientata È un autoinganno pensare che la libertà sia solo fare ciò che si vuole, andando contro qualsiasi valore oggettivo e soggettivo. Un classico esempio è quello dell’adolescente che si oppone a qualsiasi regola familiare comportandosi come vuole e soddisfacendo qualsiasi bisogno di trasgressione. È funzionale all’adolescenza ribellarsi ma non lo è fino a calpestare i propri e altrui valori. Egli crede di crescere, magari costringendo un bambino a sottomettersi alle sue stravaganze pulsionali ma, in realtà, si ferma e regredisce perché reprime il suo mondo valoriale che ha scoperto nei suoi genitori o nelle persone di riferimento umano. Il suo senso di responsabilità in fieri e la sua volontà di senso vengono rimossi per conformarsi al mondo dei coetanei che si ribellano alle norme valoriali. Facendo ciò che sente di voler fare, l’adolescente ribelle va contro tutti e tutto. In questo caso, dipende da un «dover fare» per stupire o per punire o per far credere di esser diventato adulto: in sintesi, dipende ancora dall’adulto, dal suo «impastamento» con il mondo adulto. Mancano del tutto la libertà da e la libertà di scelta. Adulto sarà quell’adolescente che sceglierà di non dover più dimostrare qualcosa a qualcuno ma di godere nel fare le cose che sceglie liberamente, sapendo di esserne pienamente responsabile e solo per scelta personale, senza nessun condizionamento.«L’uomo in quanto tale è già da sempre al di là delle necessità – pur se al di qua delle possibilità. L’essere umano è sostanzialmente un essere che trascende le necessità. Ovvero, egli “è” solo in relazione alle necessità, ma in libero rapporto con esse. Sul livello in cui si trova la dipendenza dell’uomo non sarà mai possibile reperire anche la sua autonomia» (Frankl, 2001c, p. 87). Se consideriamo l’uomo come essere pulsionale, quindi legato solo all’istinto, rischiamo di «determinarlo soltanto nell’unidimensionalità» deprivandolo del diritto di scoprire e vivere la sua indiscutibile tridimensionalità. Se ciò da cui si è liberi è il «non essere spinti», che richiama piuttosto una concezione istintiva e puramente deterministica dell’uomo, ciò per cui si è liberi è «l’essere responsabili», che corrisponde a una visione dinamica, significativa, prospettica dell’uomo, orientato fondamentalmente alla realizzazione e all’adempimento di un compito esistenziale e personale. Ed ecco che l’analisi esistenziale, elaborata da Frankl, s’incentra sull’uomo quale essere responsabile, capace di superare il livello della pura istintività e di cogliere, autonomamente e liberamente, i propri compiti, scoprendosi così irripetibile e unico (Fizzotti e Gismondi, 1991, p. 133). 2.5. Un nuovo compito da realizzare Il logoterapeuta non utilizza la persuasione logica nel tentativo di dissuadere la persona con pedofilia dai suoi comportamenti, ma stimola in lei il suo poter-essere diversa, non danneggiando più l’Altro-bambino ma scoprendo il vero logos della propria esistenza. L’intento di ciò che ho chiamato logoterapia è quello di inserire il logos nella psicoterapia. Il compito dell’analisi esistenziale è, invece, quello di assumere l’esistenza nella psicoterapia. La logoterapia, comunque, non solo presuppone lo spirituale, ossia il mondo oggettivo del senso e dei valori, ma lo inserisce attivamente nell’approccio psicoterapeutico. L’analisi esistenziale, d’altra parte, non si limita a presentare il logos in termini di obbligazione morale, di dover-essere, ma va oltre, destando nell’esistenza le potenzialità da rendere attuali, il poter-essere (Frankl, 2001b, p. 29). Le domande sul senso della propria vita e la riscoperta dei propri valori sani e funzionali mettono la persona con pedofilia nella condizione di poter-essere diversa mentre si ripropone alla vita, alla sua vita. Grazie a Frankl che ha saputo riumanizzare l’approccio alla persona in difficoltà, ogni essere umano può aspettarsi di ricevere un aiuto personalizzato che lo guidi verso le «sue»soluzioni. L’uomo di Frankl, per essere in sintonia con se stesso e con il mondo, deve essere 6
teso costantemente all’attuazione pratica e operativa di un compito personale che abbia un senso intrinseco sano ed equilibrato, mai insano e ossessivo come è quello pedofilico. «La logoterapia non dà un significato alla vita del paziente, anzi vuole che il paziente trovi da se stesso il significato della sua vita» (Frankl, 2005a, p. 29). Il nuovo significato che la persona con pedofilia scopre sia nella dimensione psichica che nella dimensione noetica non può assolutamente prescindere dalla dimensione fisica, cioè da tutto ciò che il suo corpo fa:il suo comportamento oggettivo deve manifestarsi in modo diverso perché vi è, alla base, una scelta personale voluta, decisa, pensata. Solo allora vi sarà equilibrio nella tridimensionalità dell’essere. «Un’intima connessione lega dunque le tre dimensioni dell’ontologia frankliana, tutte coinvolte nel divenire del processo formativo: il corporeo (come semplice possibilitazione) necessita dello psichico (come sua realizzazione) ed infine dello spirituale (come suo compimento)» (Bruzzone, 2001, p. 383). Il nuovo compito da realizzare, quindi, dipende dal tutto tridimensionale interagente e solo quest’ultimo conduce all’autorealizzazione della persona che decide e non dipende mai dalla convinzione che il problema non esiste più solo in quanto non si ripresenta più. Come sostiene anche la psicologia dell’educazione un vero intervento psicoeducativo non distrugge ma crea nuove modalità, più evolute, di espressione e di comunicazione. Sostituisce attivamente e si ritiene completato con successo quando il comportamento problema è stato sostituito da comportamenti più evoluti, non quando il comportamento problema non si manifesta più. Se puntiamo invece soltanto all’eliminazione del comportamento problema, questo ritornerà in altra forma, perché non abbiamo affrontato il senso e la funzione reale del comportamento stesso (Ianes e Cramerotti, 2002, p. 24). La fase dell’autorealizzazione non deve mai essere fine a se stessa ma si colloca in un percorso di maturazione che laattraversi per affrancarsi dai condizionamenti biologici, psicologici e sociologici al fine, poi, di autotrascendersi verso il Tu (dell’altro o dell’altra cosa). L’autorealizzazione non è legata ad uno sviluppo più o meno spontaneo di possibilità già presenti in nuce nella personalità, come vorrebbe una certa filosofia «potenzialistica» che riscuote anche oggi vasti consensi; la realizzazione di sé si compie piuttosto nell’autotrascendenza verso il «mondo» dei significati oggettivi e dei valori ovvero in una sempre maggiore apertura e partecipazione del soggetto alla verità dell’essere (Bruzzone, 2001, p. 382). Nella prospettiva della logoterapia frankliana l’essenza più specifica dell’essere umano sta nel trascendere se stesso, dirigendosi verso l’Altro, mai per danneggiarlo. La persona con pedofilia, come tante altre persone, non è nemmeno consapevole di poter trascendere se stessa e di potersi offrire incondizionatamente all’Altro. Emerge spesso, nel setting logoterapeutico, che la persona è talmente convinta di essere pedofila da non riuscire nemmeno a ipotizzare di potersene liberare. «Vediamo […] come proprio la paura di essere perverso stimoli per modo di dire l’ammalato ad autosedursi, a mettere cioè a sempre rinnovata prova la sua reazione istintiva, appunto perché teme che la sua enorme perversione, non curabile, abbia a manifestarsi» (Frankl, 1974, p. 85). «Duplice è l’intento della logoterapia: non diversamente dalla psicoterapia delle nevrosi, essa deve indirizzare e spingere il paziente ad oggettivare il fenomeno morboso e a distanziarsi da esso» (Frankl, 1978, p.69). «L’atteggiamento autocentrato, negando la tensione soggetto-oggetto, interno-esterno, indispensabile per attingere i significati autentici dell’esistenza, non solo sprofonda la persona nel vuoto esistenziale, ma rappresenta al tempo stesso un modo certo per garantirsi l’infelicità» (Fizzotti, 1998, p. 83). L’essere umano con pedofilia, trattato da persona e non da mostro, riesce a responsabilizzarsi e a scoprire il richiamo patologico irrefrenabile in cui è scivolato, per poi uscirne. L’impulsività non può avere il sopravvento sulla ragione. «La realtà dell’uomo è una possibilità, il suo essere è un poter essere. Il possibile viene così riconosciuto e definito come struttura dell’essere-uomo, e l’atto di libertà con cui l’uomo progetta se stesso consiste essenzialmente nello svolgere le possibilità implicite nella sua esistenza» (ibidem, p. 63). 7
2.6. Dalla parte del bambino È molto importante offrire al bambino, nell’immediato dell’abuso che subisce in famiglia, un contenimento affettivo che gli garantisca continuità; nel contempo, è importante evitare qualsiasi atteggiamento demolitivo nei confronti sia dell’abusante che della sua famiglia. Sembra strano ma, a volte, i bambini abusati o molestati, che subiscono quotidianamente comportamenti devianti da parte di un familiare, possono anche accettarli pur di non spezzare il legame relazionale, l’unico esistente, anche se patologico. È dannoso il fatto che il bambino abusato scopra che la persona con pedofilia venga solo emarginata, condannata e punita. Egli impara che il male si cura con il male quindi interiorizza un modello di comportamento vendicativo, punitivo, letale. Probabilmente quel bambino diventerà, a sua volta, un adulto disturbato, magari non necessariamente dalla pedofilia ma da un carattere vendicativo. Il bambino abusato non deve nemmeno crescere con l’idea che chi si comporta male non verrà punito e potrà fare ciò che vuole in futuro; ma deve interiorizzare che ogni problema, anche grave, possiede in sé la sua soluzione nella misura in cui ognuno si impegna, con spirito di abnegazione, a correggersi per non ricadere nello stesso errore (Marconi, 2005, p. 17). Il bambino molestato o abusato crea dentro di sé delle dinamiche autoprotettive che, nel tempo, si strutturano come miti nei quali, inizialmente, si rifugia per difendersi ma dai quali necessita di uscire psicologicamente. Molto spesso si crea il mito della vittima nel quale si acquieta passivamente e da cui fatica a uscire da solo. Se questo mito rimane tale fin dopo l’adolescenza, l’adulto portatore del mito diventerà e rimarrà una persona che vive la vita in modo vittimistico, non liberandosi mai dal passato. 2.7. Il senso del proprio esistere La «ricerca del senso della propria vita» come consapevolezza psiconoetica inizia, in genere, nel periodo preadolescenziale quando la mente esce, piano piano, dalla dinamica del mito (del ribelle, della vittima, dell’onnipotente, dell’incompreso, ecc.) ed entra in quella del senso. Molti giovani che vivono turbamenti emotivi, caratterizzati magari da dubbi sulla propria sessualità, sulla propria identità, o hanno subìto delle molestie, non sanno a chi rivolgersi e non pensano che ci possa essere qualcuno in grado di sciogliere i dubbi e le angosce personali ed esistenziali che si manifestano alla loro coscienza. Il senso della vita non viene minimamente considerato come un dirittodi ognuno e i giovani «si lasciano vivere» non raggiungendo mai né la consapevolezza del senso né, tantomeno, la piramidalità e il parallelismo valoriali. Un giovane che, per esempio, si senta turbato da spinte pedofiliche e non riesca a far chiarezza dentro di sé si lascerà fuorviare dalla sua pulsionalità. La «ricerca del senso della propria vita» come domanda di senso adolescenziale può ripresentarsi spesso durante l’arco dell’esistenza, cioè tutte le volte che la persona deve affrontare un evento luttuoso o un fatto doloroso e il crollo del senso la costringe a doversi «ricontestualizzare in un nuovo quadro di riferimento esistenziale». Non solo. Accade a ogni essere umano di uscire da un periodo (infantile, adolescenziale, genitoriale, lavorativo, relazionale) e di entrare nella fase successiva avendo la sensazione di dover rimettere in ordine la propria gerarchia valoriale. All’inizio ci si sente smarriti, poi, pian piano, ci si dà un ordine interno per affrontare la nuova fase e per viverla in modo sereno, più maturo, sia psichicamente che spiritualmente. Nella «fase del riordino» è facile cadere nella trappola della tristezza, ma saranno i valori del coraggio e della fiducia a ridare speranza e motivazione alla persona. La logoterapia mette la persona nella condizione migliore per comprendere il senso della propria vita sia nella direzione del passato che in quella del presente. Guardando al passato le permette di scoprire la significatività di specifiche azioni svolte e di situazioni vissute: rimette in un bell’ordine equilibrato tutto ciò che riguarda il bagaglio personale psico-noetico dell’individuo. Proprio per far ciò, bisognerebbe sempre spiegare a un ragazzo che i dubbi o i comportamenti che ha vissuto nel passato devono essere capiti per evitare di crescere credendosi dei mostri o dei 8
malati. Dare senso a un comportamento scorretto o, in casi gravi, a un pensiero aberrante aiuta a scoprire la propria autostima e a riprendere la propria vita in modo sereno. Guardando invece al presente, l’analisi esistenziale mira alla realizzazione dei progetti individuali, possibilmente adeguati alle attitudini personali, agli interessi e alle aspirazioni, senza alcun condizionamento esterno e permette di esplicitare il «senso racchiuso», a prima vista indecifrabile, senza commettere l’errore di inventarlo. Quando il «senso della vita» è sufficientemente chiaro alla coscienza – intesa come organo di significato – bisogna permettere ai giovani di crearsi, inizialmente, una gerarchia piramidale perché solo in questo modo riescono a camminare da soli. Il giovane che avverte di possedere un valore in posizione elevata, ad esempio quello dell’amicizia, si comporterà in modo tale da tutelarlo: s’impegnerà per non tradire gli amici; creerà situazioni d’incontro; difenderà ogni cosa che appartenga agli amici; insomma, sarà tutto proteso alla cura amorevole del valore dell’amicizia. Se si sentisse minacciato da genitori insensibili, che lo osteggiano in questo suo tentativo, potrebbe entrare in crisi. Per lui, in quel momento, l’amicizia è un punto di riferimento affettivo-sociale che apre la sua mente al mondo esterno. In questo caso il valore dell’amicizia è indiscutibilmente posizionato al vertice di una piramide che è ancora poco conosciuta dal giovane e non credo che riesca a crearsi dei valori paralleli se non ha esperito, in precedenza, una propria gerarchia piramidale. Il giovane, proprio per la tendenza che lo caratterizza a estremizzare ciò che vive, non si rende ancora conto di farlo anche con i suoi valori. Ha bisogno di tempo e di esperienze: sarà poi lui a decidere come vivere i suoi valori. Se pensiamo a un ragazzo che, diventato adulto, non sia riuscito a modificare la posizione del valore dell’amicizia, possiamo immaginarcelo come un uomo che vive in funzione dell’amicizia: non riesce a crearsi una relazione di coppia perché mette sempre la sua partner in posizione subalterna rispetto agli amici; non riesce a realizzarsi professionalmente perché troppo distratto dai progetti da realizzare con gli amici; diventato padre, trascura il suo ruolo genitoriale venendo meno ai suoi doveri e via dicendo. Ecco quindi l’importanza di riordinare, dopo l’adolescenza, la gerarchia valoriale in modo che proceda parallelamente nel vissuto della persona che la ospita. Si può affermare che persone con un sistema di valori paralleli hanno un equilibrio interiore più stabile che non persone con un sistema di valori piramidali. La loro stabilità poggia sulle molteplici possibilità di realizzare il senso della vita, che è da una parte la base per la comprensione e la tolleranza reciproche e dall’altra può essere l’àncora di salvezza nel caso vada perduto il contenuto della vita ritenuto più importante. Mentre gli individui con sicurezze parallele conservano facilmente la loro capacità di vivere anche in situazioni critiche, grazie al loro sistema multiplo di valori, le persone con sicurezze piramidali perdono rapidamente, anche per motivi futili, il loro sostegno e precipitano nella disperazione (Lukas, 1991, p. 28). 3. L’autodistanziamento dalle pulsioni pedofiliche La logoterapia non si muove a livello introspettivo, in quanto sa che l’iperriflessione su se stessi non solo rischia di creare un pensiero ossessivo (di tipo paranoideo o ipocondriaco) ma impedisce di intuire e di entrare in contatto con le profondità del proprio «esser così», della propria «essenza». L’autodistanziamento permette l’allontanamento dai propri vissuti emotivi, dagli impulsi contraddittori, conquistando un’equilibrata distanza critica. Allontanarsi dai propri vissuti emotivi non significa assolutamente negare le proprie emozioni. La vita delle emozioni che si attiva nella psiche di ogni individuo deve mantenersi tale ma dev’essere guidata intenzionalmente. Distanziarsi dalle proprie emozioni significa dare a se stessi la possibilità di non farsi fagocitare da emozioni estreme (pulsionali). Ogni emozione che estremizzi dei comportamenti sia nei confronti degli altri sia nei propri rischia di bloccare la mente in un vortice autodistruttivo. Solo «allontanandoci» da noi stessi possiamo capire la differenza tra ciò che ci attrae e ciò che ci condiziona perché quando ci si trova in una situazione di invischiamento emotivo si è troppo coinvolti e non si ha la capacità di decidere liberamente e responsabilmente. Per avvicinarci alla nostra essenza dobbiamo allontanarci da noi stessi: solo così ci avvicineremo alla parte più autentica 9
di noi stessi, al nostro «esser così come siamo» unico e irripetibile, quindi anche alla possibilità di capire ciò che decidiamo di essere da ciò che ci condiziona. La saggezza della coscienza non è la conoscenza compiuta e minuziosa della propria interiorità, bensì il sapere alimentato dalle emozioni intenzionali. L’autodistanziamento, come moto psiconoetico, permette di distinguere due moti interiori diversi tra loro: le emozioni intenzionali e le emozioni pulsionali *. Le prime hanno sede nella ragione e sono gestibili, le seconde sono primordiali, cieche, impulsive; però si sentono (in un secondo momento) e quindi sono gestibili anch’esse. Con l’autodistanziamento si attiva l’integrazione e l’equilibrio dei due tipi di emozioni e la persona con pedofilia impara a percepirsi anche in queste sue parti personali e uniche e, nel tempo, prova una sensazione di sollievo psiconoetico. La libertà è raggiunta nel momento in cui il suo possessore ne fa l’uso migliore per sé senza mai danneggiare l’Altro. L’importante è non cadere nelle maglie dell’imbroglio della malafede, come succede quando si sostiene di essersi liberati da un condizionamento ma, nello stesso tempo, si continua a essere in conflitto con esso. * Scheler (nella sua opera Der Formalismus in der Ethik del 1927) distingue gli stati emotivi (passivi) dalle funzioni emotive (attive) che reagiscono in modo appropriato agli stati emotivi. I primi non hanno carattere intenzionale quindi sono ciechi e disordinati. Grazie alle funzioni emotive (che Scheler chiama anche intuizioni emotive) che possiedono intenzionalità, vengono modificati gli stati emotivi. Le emozioni intenzionali accompagnano e guidano l’azione anziché bloccarla e mantenerla schiava delle emozioni pulsionali (o stati emotivi). “L’emozione deve essere intenzionale, cioè aperta al senso che ancora non c’è a livello logico, ma che si può trovare…” (Giordano, 2001, p.46). 3.1. Le emozioni pulsionali nella pedofilia e le emozioni intenzionali nella relazione Io-Tu Ogni caso di pedofilia va considerato a sé stante, nella sua unicità, come succede quando si segue qualsiasi caso umano che richieda un sostegno o un intervento. Durante il percorso logoterapeutico la persona con pedofilia impara a distinguere le emozioni intenzionali dalle emozioni pulsionali. Nelle emozioni intenzionali «decido di fare una cosa che mi interessa»; nell’atto di «decidere» c’è la mia intenzionalità e nel «mi interessa» c’è la mia emozione. Nelle emozioni pulsionali «devo fare una cosa che è più forte di me»: nell’assunto «devo fare» c’è l’obbligo pulsionale e io perdo la mia libertà di scelta, quindi m i deresponsabilizzo; nel pensiero «è più forte di me» c’è la mia sottomissione emotiva a qualcosa che mi costringe, mi condiziona. Questa dualità emotiva è insita nell’uomo, ma non sempre è scientemente così ben chiara e distinta. L’uomo sano ed equilibrato avverte quando una delle due emozioni predomina sull’altra e, con determinazione, riesce a frenare l’emozione pulsionale. Per lui è possibile frenarla e utilizzare, a proprio vantaggio, quell’energia che rimane in sospeso. Per l’uomo con pedofilia è così e basta: la pulsione irrefrenabile arriva e, proprio perché è irrefrenabile, è anche ingestibile; quindi, l’uomo fa ciò che, in quel momento, si sente di fare: come i bambini prima che sviluppino la coscienza e interiorizzino le norme. Da qui si comprende che l’uomo che non controlla le emozioni pulsionali è carente di qualcosa: manca l’autogestione degli impulsi, l’interiorizzazione delle norme, la capacità di autocontrollo, soprattutto la sensazione di essere una persona autodefinita, individuata, staccata dalle pulsioni primitive, cieche, caotiche. La logoterapia permette al terapeuta di aiutare la persona con pedofilia a portare alla coscienza le emozioni pulsionali, a distanziarsene e a scoprire, piano piano, le emozioni intenzionali e tutte le facoltà del suo equilibrio. In questa prospettiva, la persona con pedofilia è veramente una persona da aiutare e non da sterminare. Probabilmente anche chi legge che esiste la possibilità di offrire aiuto alla persona con pedofilia avverte dentro di sé le emozioni pulsionali (che potrebbero generare pensieri delinquenziali); è più saggio far predominare le emozioni intenzionali, quelle noetiche, quelle che pongono rimedio e non creano ulteriori fatti iniqui e, soprattutto, non perpetuano il problema della pedofilia. 10
Nel vivere noeticamente le emozioni intenzionali, è inevitabile percepire i primi barlumi del senso di colpa nei confronti della persona che ha subìto i comportamenti pulsionali; del resto, durante la fase maieutica questi primi moti interiori che la persona con pedofilia esperisce sono sinonimo di cambiamento. Il logoterapeuta elabora con lei il senso del pentimento allo scopo di attuare nuovi comportamenti nei confronti di quelli malsani. Questi ultimi non sono modificabili nel loro «essere esistiti nel passato», ma offrono alla persona, nel presente, la possibilità di essere capiti e di non essere ripetuti nel futuro; tutto ciò, solo se la persona decide liberamente e responsabilmente di non ripeterli più. La fenomenologia della colpa nell’analisi frankliana perviene così alla teorizzazione del pentimento come predisposizione interiore al cambiamento, come atteggiamento interiore profondo che consente di s-fondare l’immobilità della situazione, dovuta all’irreversibilità del male compiuto, e permette di ri-fondare una intenzionalità educativa capace di alimentare un progetto di uomo rinnovato e di ideare percorsi reali di espiazione-riparazione e di vera ricostruzione di sé (Bruzzone, 2001, p. 327). 4. L’autotrascendenza Autotrascendersi significa andare oltre se stessi non trascurandosi – come temono molte persone – ma, al contrario, arricchendosi attraverso questo movimento psico-noetico verso il tutto dell’Altro, in questo caso verso il tutto del bambino, sempre e soltanto verso il bambino da rispettare. Durante il percorso logoterapeutico l’andare verso l’altro diventa sempre più cosciente, gratificante, disinteressato, non più offuscato dalla possessività o da spinte di autorealizzazione ma in modo autentico e incondizionato. Per l’Io il Tu non dovrebbe possedere un valore d’uso ma stimolare nell’Io il totale rispetto dell’unicità tridimensionale dell’essere del Tu. 4.1. Il vuoto psichico e di senso crea maggior danno del pieno patologico Nel viversi il proprio vuoto psichico e di senso non vi è autotrascendenza in quanto l’Io è autocentrato e iperriflette su di sé. È importante che i bisogni sottesi al comportamento pedofilico (la volontà di piacere di freudiana memoria) vengano comunque soddisfatti tramite altre forme compensatorie prima di passare al cambiamento vero e proprio sia dell’atteggiamento mentale che del comportamento e che miri a un significato esistenziale diverso, che abbia un collegamento diretto con il senso di libertà e di responsabilità nuove. La volontà di significato è impossibile da raggiungere nell’iperriflessione della persona con pedofilia. Quando viene frustrata la volontà di significato, interviene la volontà di piacere, la ricerca spasmodica di soddisfazione a tutti i livelli, primariamente a livello sessuale, con il compito di stordire la consapevolezza dell’uomo di fronte al suo inappagamento esistenziale, e di celare questo agli occhi della sua coscienza. In altre parole: la volontà di piacere entra in scena, per così dire, quando ne esce la volontà di significato; è allora soltanto che l’uomo cade nella sudditanza del principio del piacere predicato dalla psicoanalisi (Fizzotti, 1990, p. 47). Tutto il lavoro di ristrutturazione di una mente disturbata non può avvenire in modo improvvisato e maldestro. Il logoterapeuta garantisce, nell’immediato, la compensazione che deve essere soltanto provvisoria. Perché dev’essere provvisoria? Perché viene proposta dal terapeuta. Quindi, ha senso solo per lui. Risulterà ricca di senso solo quando verrà partorita dalla persona con pedofilia che però ha bisogno di un tempo personale che è sempre soggettivo. Inizialmente, l’idea prodotta dalla persona con pedofilia sarà un’idea solo compensatoria, caratterizzata dal senso di libertà dal comportamentomalsano. Nella fase di passaggio dalla libertà da alla libertà per (quando non avviene quel sostegnoreciproco provvisorio) si crea spesso una sorta di vuoto, di sospensione, che deve essere riempita dal terapeuta fintanto che la persona non decide di assumere il suo nuovo comportamento o non si 11
sente capace di farlo. Quindi, durante il lavoro logoterapeutico se non offro subito qualcosa al paziente (le gratificazioni per le piccole cose che inizia a fare o per i nuovi comportamenti) metto a repentaglio la sua vita psichica e, con essa, la sua vita spirituale. Una persona con pedofilia, appesantita da nuovi vuoti, creerebbe danni irreversibili agli altri e a se stessa. Tuttavia, non va liberato un individuo dalle sue infermità a rischio di abbandonarlo in balia di se stesso. Eppure a questo si giunge volendo risparmiare qualsiasi situazione spiacevole, combattendo incondizionatamente ogni sofferenza, inclusa quella che cela un tormento esistenziale colmo di senso. Potrebbe allora capitare che un uomo, con la sua sofferenza, perda anche se stesso (Frankl, 2001b, p. 25). È fondamentale, nel percorso logoterapeutico, che sia la persona con pedofilia ad avvertire dentro di sé che tutto ciò che scopre è una personale conquista interiore. Mai si deve dare la sensazione, a colui che chiede aiuto, che ciò che ha commesso pone fine a qualsiasi possibilità di cambiamento. 4.2. Ognuno ha il diritto di rimettersi in piedi da solo: verso la ripresa dell’autonomia La correzione del comportamento della persona con pedofilia avviene anche grazie a una modalità definita «modulazione dell’atteggiamento», che non è basata su schemi prefissati e rigidi, ma utilizza la parola per raggiungere degli obiettivi mirati che diano senso alla vita della persona, di qualsiasi persona. Nella fase di modulazione dell’atteggiamento pedofilico si cerca di scoprire, prima di tutto, se vi è l’attiva partecipazione della persona, nella ricerca di nuove alternative di senso da dare alla propria vita. Questa modalità d’intervento non considera mai, in nessun caso, la critica distruttiva di ciò che è stato fatto dal paziente, neanche nel caso di azioni gravemente errate. Partendo dal presupposto di infondere coraggio e calma, si ristrutturano tutte le rigidità, i preconcetti malsani, le dissonanze e le contraddizioni esistenziali, tramite il dialogo maieutico cioè il dialogo che il paziente crea, fra sé e se stesso, formulando dei concetti nuovi che gli diano la sensazione di svincolarsi dai precedenti atteggiamenti; sarà lui, poi, a criticarsi (Marconi, 2005, p. 194). Procedendo in questo modo, e con l’ulteriore aiuto logoterapeutico delle domande ingenue, la persona viene messa nella condizione di rigenerarsi interiormente e di capire, nella fase successiva, cos’è accaduto. Le domande ingenue contengono implicitamente una risposta contestativa che stimola nell’Altro l’indignazione e lo sprona a chiarire, soprattutto a se stesso, che ciò che viene ipotizzato con la domanda ingenua è sbagliato. Nell’atto di porre la domanda ingenua è molto importante evitare il sarcasmo in quanto è offensivo e, spesso, scatena la collera. Il fatto di indignarsi davanti a una persona, proprio quella che ha sollecitato la risposta, risveglia la coscienza di fronte a un proprio sentimento preferenziale. Con questa modalità «si porta il paziente, mediante domande appropriate, a riconoscere da solo che il proprio atteggiamento è per lui malsano e forse persino pericoloso» (Lukas, 1995, p. 173). 4.3. Il risveglio dello stupore e della meraviglia come scoperta dei valori nella fase dell’autotrascendenzaQuando nasce la consapevolezza dell’autotrascendenza la persona con pedofilia percepisce la sua libertà di comportarsi diversamente nei confronti del bambino. La consapevolezza è molto importante nelle dinamiche psichiche, in quanto la persona si sente in contatto diretto con le sue funzioni noetiche del decidere responsabilmente nei confronti di qualcuno. Nell’attivarsi responsabilmente vi è già implicita la libertà di cambiare, la libertà di migliorare, la libertà di non danneggiare la persona-bambino. Durante questa fase maieutica di scoperte valoriali la persona con pedofilia percepisce il suo stupore e la sua meraviglia e questo stimola a superare la provvisorietà del comportamento spregevole e a raggiungere l’equilibrio psiconoetico. 12
Una maieutica senza meraviglia è inautentica, poiché la meraviglia ci permette di scoprire al di là delle ovvietà lo scarto esistente tra noi e il Logos, il valore e di svelare la nostra originaria tensione. Il logoterapeuta, come Socrate, deve ridestare il sentimento autentico della meraviglia che è alla base dell’autotrascendenza frankliana: l’Io scopre di essere sempre superato dal valore e che può essere se stesso pienamente solo orientandosi verso questo valore, superando i propri limiti e condizionamenti in un processo infinito (Giordano, 1992, p. 92). Per il logoterapeuta, come per tutti gli psicoterapeuti, dovrebbe essere sempre molto importante stupirsi. Ciò vuol dire anche che lo stupirsi non dev’essere mai fatto trapelare apertamente o verbalmente in quanto il paziente non deve mai percepire la sensazione di essere oggetto d’interesse morboso da parte del logoterapeuta. Quello «stupore interiore» è il motore psichico e spirituale che nutre la motivazione ad aiutare e che dovrebbe essere sempre viva. Nell’autotrascendenza del logoterapeuta verso il suo paziente lo stupore e la meraviglia sono moti sani che non dovrebbero mai morire e che, in alcuni casi, possono anche essere condivisi. «La “Meraviglia” e lo “Stupore” di fronte alla fondamentale esperienza della “problematicità dell’esistenza” ci porta a considerare la vita come sostanzialmente prigioniera della provvisorietà e, contemporaneamente, come anelante di volta in volta a trascendere tale provvisorietà…» (Brancaleone, 2000, p. 100). 5. Il sostegno logoterapeutico alla famiglia Come avviene nel setting logoterapeutico individuale, è importante che anche in quello familiare si mantengano costantemente sospesi i propri criteri di giudizio senza mai tradire i propri valori né la propria fede. A causa della paura che incute, l’argomento pedofilia crea un forte senso di rifiuto che ostacola la possibilità in tutti i membri familiari di instaurare un approccio empatico, fondamentale nella relazione di aiuto e nel processo di cura. È, quindi, necessario attendere i tempi di ognuno, al fine di favorire un clima disteso e mai giudicante. Dovremmo tener sempre ben presente il fatto che giudicare e condannare la persona con pedofilia, alla fine, si ritorce proprio contro coloro che vogliamo proteggere, i bambini. È sicuramente un fatto positivo che, superando ancestrali rimozioni, si incominci a riconoscere che i rapporti tra adulto e bambino non sono sempre improntati all’affetto e al rispetto; che la declamata tenerezza verso l’infanzia è spesso sostituita o coniugata con sadiche violenze; che l’amore verso il fanciullo non impedisce l’esplosione dell’odio e della aggressività dell’adulto verso chi disturba ed è percepito come rivale; che il concetto di aiuto alla crescita è spesso sostituito da un oscuro senso di proprietà che si estrinseca nella profonda convinzione di poter fare ciò che si vuole di chi è nostro figlio (Moro, 1988, p. 6). Il familiare che scopre un incesto pedofilico all’interno della famiglia, dal quale fatto crede di non poter più uscire, crolla in una sorta di iperriflessione che lo conduce inevitabilmente a circoscrivere tutta la sua esistenza dentro il problema. Nulla ha più importanza, tutto ciò che accade fuori dal problema è insignificante, inutile, banale. Il tutto è ovviamente aggravato quando l’abuso sia compiuto da un genitore, perché la confusione dei ruoli accentua l’angoscia e la prostrazione in cui sempre il bambino vive una precoce esperienza sessuale e perché un fatto incestuoso innesca nell’ambito familiare una serie di relazioni false e abnormi che inquinano tutti i rapporti e danno esca a giochi perversi estremamente distruggenti (ibidem, p. 156). Il logoterapeuta attua una serie di interventi aventi come scopo la tutela del bambino, l’offerta alla persona con pedofilia della possibilità di appropriarsi della sua dignità e, infine, la possibilità di riequilibrare l’assetto familiare scoprendo il senso di ciò che è accaduto a ognuno. In ogni situazione familiare esiste una dinamica sua propria che spesso rappresenta l’anima del problema stesso (pedofilico e non). Separare i componenti della famiglia significa creare 13
potenziali nuove matrici di situazioni simili che potrebbero perpetuarsi. È all’interno della famiglia che vanno capiti e risolti i problemi perché è solo là che si scoprono le soluzioni. Non lasciare che tutto proceda all’insegna dell’aberrazione ma non permettere neanche che la famiglia si senta obbligata a separare il bambino dal suo nucleo di riferimento, anche se disturbato (Marconi, 2005, p. 114). Quando la famiglia, dopo un buon lavoro logoterapeutico, raggiunge un nuovo equilibrio è più giusto permettere a ogni componente di rimanere nello stesso nucleo. Come per il singolo, anche nel caso della famiglia sono importanti l’autodistanziamento e l’autotrascendenza: «l’autodistanziamento ci permette di riconoscere all’interno della famiglia vuoti di funzione e di colmarli con l’impegno personale, mentre l’autotrascendenza ci permette di rinunciare a delle funzioni all’interno della famiglia se ciò è utile alla comunità familiare perché evita collisioni di funzioni. In tal modo ci sono tutti i presupposti per poter mantenere anche in situazioni di crisi l’armonioso accordo delle funzioni dei vari familiari» (Lukas, p. 234). Ogni membro familiare, dopo aver scoperto il senso di ciò che è accaduto, elabora da solo e poi in gruppo le risorse di significato a cui poter attingere e, nel contempo, impara a rispettare l’unicità di ogni persona nella dinamica noetica dell’autotrascendenza. Bibliografia Bellantoni D. (2005), Le prospettive cliniche della logoterapia. Verso la definizione di unmodello clinico integrato. In E. Fizzotti (a cura di), Nuovi orizzonti di ben-essere esistenziale. Il contributo della logoterapia di V.E. Frankl, Roma, Las, pp. 147-171. Brancaleone F. (2000), Dia-Logos.Principi e tecniche di Logoterapia, Logoanalisi eLogodinamica, Napoli, OFB-Editing. Bruzzone D. (2001), Autotrascendenza e formazione. Esperienza esistenziale, prospettive pedagogiche e sollecitazioni educative nel pensiero di V.E. Frankl, Milano, Vita e Pensiero. De Leo G. e Petruccelli I. (a cura di) (2000), L’abuso sessuale infantile e la pedofilia. L’intervento sulla vittima, Milano, Franco Angeli. Fizzotti E. (1990), Annotazioni sul significato della sofferenza in Viktor E. Frankl. In E. Fizzotti e R. Carelli (a cura di), Logoterapia applicata. Da una vita senza senso a un senso nella vita, Brezzo di Bedero (VR), Salcom, pp. 43-57. Fizzotti E. (1998), Sulle tracce del senso. Percorsi logoterapeutici, Roma, Las. Fizzotti E. e Gismondi A. (1991), Il suicidio. Vuoto esistenziale e ricerca di senso, Torino, SEI. Frankl V.E. (1974), Psicoterapia nella pratica medica, Firenze, Giunti-Barbera, 4ª ed. Frankl V.E. (2000), Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Brescia, Morcelliana, 4ª ed. Frankl V.E. (1978), Teoria e terapia delle nevrosi, Brescia, Morcelliana, 3ª ed. Frankl V.E. (2001b), Homo PatiensSoffrire con dignità, Brescia, Queriniana. 2ª ed. Frankl V.E. (2001c), Logoterapia, medicina dell’anima, a cura di E. Fizzotti, Milano, Gribaudi. Frankl V.E. (2005a), Alla ricerca di un significato della vita, Milano, Mursia, 4ª ed. Frankl V.E. (2005b), Dieci tesi sulla persona. In Id., La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, a cura di D. Bruzzone e E. Fizzotti, Trento, Erickson, pp. 33-42. Giordano P. (1992), Logoterapia. Senso della vita e rapporto io-tu, Roma, Edizioni Univ. Romane. Giordano P. (2001), Lo spazio donato. Dialogo immaginario con Socrate, Venezia, CSC Srl. Ianes D. e Cramerotti S. (2002), Comportamenti problema e alleanze psicoeducative. Strategie per la disabilità mentale e l’autostima, Trento, Erickson. Lukas E. (1987), Dare un senso alla famiglia, Logoterapia e pedagogia, Roma, Paoline. Lukas E. (1991), Dare un senso alla vita. Logoterapia e vuoto esistenziale, Assisi, Cittadella. Lukas E. (1995), Dare un senso alla sofferenza. Logoterapia e dolore umano, Assisi, Cittadella. Marconi M.M. (2005), Quando il senso della propria esistenza è la pedofilia, Padova, Upsel Domeneghini. Moro A.C. (1988), Erode fra noi. La violenza sui minori, Milano, Mursia. 14
15Niccoli R. (2005), Pedofilia. Tra fantasia e storia, Firenze, Rivista di psicologi e psicoterapeuti. Ed. Vertici. Picozzi M. e Maggi M. (2003), Pedofilia. Non chiamatelo amore, Milano, Guerini e Associati Schinaia C. (2001), Pedofilia pedofilie. La psicoanalisi e il mondo del pedofilo, Torino, Bollati Boringhieri.