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Religione, religiosità, spiritualità

“Per quanto riguarda la religione e la religiosità dobbiamo fare un distinguo chiaro: la religione si attiene a qualcosa che c’è già e che è stato creato e stabilito dall’uomo; la religiosità si riferisce a qualcosa che non c’è ancora ma che può nascere in ogni persona: la religiosità o spiritualità è un modo d’essere mentre si vive una determinata realtà che si ama, che ci colpisce. Infatti quando rimaniamo favorevolmente colpiti da un’esperienza, tendiamo a volerla rivivere e il nostro modo d’essere se ne arricchisce.

Quando, al contrario, non sentiamo un’emozione nei riguardi di qualcosa, tendiamo ad abbandonarla perché non lascia alcun segno dentro di noi. E’ naturale che, se percepiamo un particolare piacere (fisico, psichico, spirituale) nel vivere un’esperienza, ci sentiamo motivati a dedicarci a essa e a riviverla. Per esempio, una persona che vive forti emozioni suonando uno strumento, coltiverà l’arte della musica; un’altra che percepisce il piacere di scrivere o di dipingere o di disegnare o qualsiasi altra cosa, tenderà, nel limite delle sue possibilità, a coltivare il suo piacere. Questo atto del coltivare è nutrito dalla motivazione e, in questo sentire il piacere di coltivare, sta la religiosità. Quindi la religiosità o spiritualità, è il piacere di curare, di approfondire, di sentire, di rispettare una specifica cosa che  amiamo e che desideriamo diventi speciale. Quella cosa speciale, diventa un veicolo per l’espressione della religiosità.  Ovunque ci sia una persona appassionata, là c’è la sua religiosità-spiritualità. Chi  ama la vita nella sua completezza svolge ogni cosa religiosamente come se la vita fosse un continuo atto di culto.

Si può vivere la religiosità in una religione? Certo! Una persona che crede in una religione può anche viverla con un senso di religiosità; ma può anche non viverla; quindi si può credere in una religione ma non è vero che si debba credere  in una religione per essere religiosi. Esistono molte persone che seguono pedissequamente i precetti e la liturgia di una religione  senza viverla con religiosità.

La religiosità o spiritualità può trovarsi liberamente in qualsiasi persona che la scopra e la coltivi.

Una persona atea ma religiosa, è tale quando vive davvero i vari momenti della sua giornata, assapora le piccole cose, si sofferma nell’attimo in cui scopre la piacevolezza del suo fare, del suo ascoltare, del suo dare, del suo riflettere,  del suo procedere nelle proprie cose che fa con passione. Insomma! Essere religiosi significa amare la vita.”

Ristrutturare il pensiero. Cosa significa?

Ristrutturare il pensiero non significa proporre un’alternativa di significato (che è psichico), ma significa cogliere il senso (che è spirituale) di ciò che sta dietro un problema o  un errore; significa salvare il senso nobile dell’azione o del pensiero facendo in modo che la persona corregga il significato visibile, tangibile, psichico: si passa dal piano spirituale al piano psichico, si porta alla luce il vero senso di ciò che agli occhi degli altri appare soltanto un problema, per cui  ristrutturare significa considerare prevalentemente la dimensione spirituale: è una sorta di squarcio nella dimensione psichica per dare luce e ossigeno a quella spirituale. La ristrutturazione non può essere un discorso logico che inerisca la psiche, può solo passare attraverso di essa, non può sostare, deve andare oltre, altrimenti la reazione della persona rimane solo psichica, cioè logica ma monca.

Mi spiego con un esempio:

Se un bambino dice: “ho ucciso il mio gattino perché si era rotto una zampa e soffriva”, non si dovrebbe sgridare e  punire il bambino dicendogli che è stato crudele (rimarremmo solo nella dimensione psichica) ma notare la sua dimensione spirituale che è aver tolto la sofferenza all’animale, dicendo: “sei stato bravo a pensare che il gattino stava soffrendo ma cosa avresti potuto fare per non togliergli la vita?” Lui si stupisce e si ferma a riflettere. Lo si mette a suo agio anziché demonizzare il comportamento attuato; e gli si dà la possibilità di riflettere anziché chiudere il discorso in un modo doloroso e colpevolizzante. Se non rispondesse alla domanda, bisognerebbe dire: “secondo te, avresti potuto risolvere il problema?” Eventualmente aggiungendo: “avresti potuto portarlo a far curare da un  veterinario?” Ma, di solito, i bambini rispondono subito in modo corretto e questo ci fa capire che possiedono già le risposte noetiche, quelle elevate, che hanno solo bisogno di entrare nella loro coscienza.

Quindi bisognerebbe sempre vedere l’intenzione (in-tenzione: dentro ciò a cui si tende) e non solo l’azione (l’atto) perché, altrimenti, togliamo alla persona quel senso nobile – anche se lei non lo sa –  che l’ha motivata ad attuare un certo gesto. Quel comportamento va subito corretto ma bisogna far riflettere (in questo caso) il bambino su quale sarebbe stata la soluzione migliore, senza darla noi. Questa è una ristrutturazione che stupisce il bambino ed è proprio lo stupore ad aprire la porta della dimensione spirituale.

La fiducia: consapevolezza e moto dell’anima.

Consapevolezza e moto dell’anima

La fiducia  nell’altra persona si basa su due sensazioni: una consapevole, grazie alla quale si percepisce di poterla riporre nell’altra persona e una come moto dell’anima che ci fa intuire di poterci fidare ciecamente.

La dimensione consapevole ci permette di percepire chiaramente di poterci fidare dell’altra persona perché avvertiamo che lei è davvero la depositaria onesta e leale di ciò che le confidiamo; è una persona che, per nessuna ragione al mondo, tradirebbe la nostra fiducia. La dimensione più profonda – intesa come moto dell’anima – è intangibile quindi non si può descrivere ma la si percepisce come qualcosa di più elevato, inaccessibile e, per ciò stesso, appartenente alla sua irragiungibilità. Questa intuizione non la si può spiegare a parole perché fa parte di quella dimensione spirituale dell’essere umano che lo caratterizza e lo contraddistingue da ogni altro essere umano. La dimensione spirituale non va confusa con quella religiosa o soprannaturale, né ha alcuna valenza trascendentale, mistica o sentimentale,  ma è semplicemente più ampia e inclusiva rispetto alla dimensione intellettuale, in quanto comprende quella esistenziale ed emozionale. Se la fiducia nell’altra persona si basa soltanto su un discorso logico, concreto e conscio, non possiede in sé quegli elementi appena spiegati che non possono essere assenti in una reale relazione di fiducia reciproca.

L’aspetto consapevole e quello inconscio debbono coesistere per aderire al principio indiscutibile  dell’unicità di ogni singola persona che non può essere rassicurata soltanto formulando un discorso teorico sulla fiducia reciproca.

Partendo dalla fiducia in noi stessi, è importante non mentire dicendoci qualcosa che si basi soltanto su un discorso logico del tipo: «so che mi posso fidare di me, quindi mi fido» ma dovrebbe essere un discorso intimo e onesto che si rinforza, nel corso del tempo, grazie a molteplici conferme quando ci facciamo un esame di coscienza e cerchiamo di non mentire a noi stessi. L’autostima che ne deriva dal fatto di essere onesti con noi stessi, ci predispone a coltivare anche la fiducia nelle altre persone e, di conseguenza, ad offrire quell’affidabilità che indica agli altri il messaggio “puoi fidarti di me”. (M.M.Marconi, “Mi fido di te” Editoriale Programma, TV)

 

LAEV Logoterapia Analisi Esistenziale Veneto

Nella tridimensionalità dell’essere umano (corpo, mente e spirito) i disturbi d’ansia e il senso della vita si condizionano a vicenda: con la Logoterapia e l’Analisi Esistenziale è possibile scoprire i meccanismi dell’ansia per uscirne, riequilibrare il corpo e ridare senso alla propria esistenza.

Criticando l’intenzione psicoanalitica di “smascherare” continuamente il significato nascosto di tutto ciò che accade, Frankl attribuisce all’Analisi Esistenziale il compito di “rivelare” il senso potenziale di ogni situazione. L’Analisi Esistenziale e la Logoterapia non si chiedono, se non marginalmente, per quale motivo le cose accadono in un certo modo, ma in vista di quale scopo possano accadere in modo diverso.

Frankl sosteneva l’idea che il fattore terapeutico principale non fosse da individuarsi nella tecnica, ma nell’umanità del terapeuta. Per questo motivo egli non ha sviluppato una casistica clinica dettagliata e non ci ha lasciato un metodo di intervento codificato: temeva, probabilmente, che la Logoterapia fosse travisata come l’ennesima tecnica psicoterapeutica, mentre il suo scopo era quello di restituire alla relazione terapeutica l’umanità dell’incontro da persona a persona.

Fin dai suoi scritti giovanili V.E.Frankl, il fondatore della Logoterapia, sostiene che la psicoterapia dovrebbe sempre dialogare con la filosofia dell’etica, non per una ragione moralistica né spiritualeggiante, ma per un motivo propriamente terapeutico: il comportamento delle persone non è comprensibile se non alla luce dei valori che, consapevolmente o meno, ispirano le loro scelte. Accompagnare coloro che soffrono non significa necessariamente risolvere le loro difficoltà ma anche aiutare ad accettarle e a trascenderle, continuando a vivere una vita significativa, nonostante tutto.